Non è una città per avvocati

“Non è una città per avvocati”, nel suo genere, è un piccolo capolavoro. Una lettura estremamente piacevole, briosa, coinvolgente. Un noir “semplice” nella sua complessità, che sequestra l’attenzione fin dalle prime righe. Le 216 pagine del libro scorrono via leggere come acqua di sorgente, sorrette da una scrittura agile e incisiva. “Non è una città per avvocati” è un ritratto impietoso della provincia lombarda. Con le sue miserie, accuratamente nascoste dietro la facciata perbenista. Le apparenze celano misteri e peccati inconfessabili, segreti avvolti nella carta da regalo di una noia che rimbalza sui muri e s’attacca ai vestiti. Il protagonista del libro è un anonimo avvocato pavese, incolpato di duplice omicidio. Un’accusa infamante, che lo costringerà a rovistare dentro le pieghe della propria esistenza. Per arrivare alla verità, Marcello Prati dovrà affrontare un lungo e doloroso viaggio dentro se stesso. L’uomo arriverà alla fine del percorso inevitabilmente cambiato. E scoprire il vero colpevole sarà solo una magra consolazione. La struttura del noir è solida e i personaggi hanno un loro fascino. Mauro Sangiorgi è un amico. Ma il libro è, oggettivamente, bellissimo.

Non è una città per avvocati – Mauro Sangiorgi – Robin editore (collana I luoghi del delitto) – 216 pagine

Rai: di tutto, di meno

Prima regola di un giornalista tv che si occupa di football: per fare una telecronaca bisogna conoscere i calciatori. Se non hai una predisposizione naturale, basta documentarsi. Studiare. Il web, del resto, offre un nugolo di informazioni: notizie, dati, immagini, filmati. Ovviamente non bisogna prendere per oro colato tutto quello che si legge. Memoria storica e buonsenso aiutano a destreggiarsi con sufficiente disinvoltura nei labirinti della rete.

Seconda regola di un giornalista tv che si occupa di football: se non conosci le facce e lo stile di gioco dei vari calciatori, controlla almeno la disposizione tattica delle squadre. Anche nel calcio moderno, infatti, è raro vedere un terzino destro stazionare nella parte sinistra del campo.

Terza ed ultima regola di un giornalista tv che si occupa di football: capita a tutti di sbagliare un nome. Non sempre si riesce a rilevare in tempo reale l’autore del cross, del tiro o del passaggio. Ma quando non ne azzecchi una per tutti i novanta minuti più recupero, in stile Borriello, dovresti almeno avere il buon gusto di fare pubblica ammenda. E magari dire a chi ti sta ascoltando “scusatemi, mi hanno messo a fare un lavoro che non so svolgere con la dovuta professionalità. Lo sapete tutti che in Italia non esiste meritocrazia, no? Ecco, io sono l’esempio lampante. D’altro canto, come diceva Enzo Biagi, un tempo, in Rai, assumevano tre democristiani, due socialisti, un comunista e uno bravo. Ecco, io non ricordo se ai tempi ero democristiano, socialista o comunista. Di certo non ero quello bravo”.

La scelta di Joe

C’è un silenzio profondo che fruga dentro la tua anima. Un silenzio che circonda i tuoi pensieri e sospende la tua vita per manifesta inquietudine. Joe ha smesso di parlare l’undici Settembre del 2001. Per non farsi trovare da nessuno si è rifugiato dentro la sua ombra. Passa il tempo leggendo e rileggendo i discorsi di Nelson Mandela. Ogni tanto alza gli occhi al cielo per seguire le traiettorie dei gabbiani. Qualche volta piange, approfittando di un temporale e della musica di Leonard Cohen. Ci sono molti asterischi e parentesi nel silenzio di Joe, che ha sposato il mutismo come ultima, disperata, risorsa. Estrema forma di protesta contro un mondo violento, arido e volgare. In fondo, Joe, ha troppe cose da dire. Per questo motivo ha scelto il silenzio.

Una fotografia profumata di borotalco

Ci sono ricordi che percorrono a velocità supersonica la tangenziale della nostalgia. Ci sono pensieri che rimbalzano come palline di celluloide nei labirinti della nostra anima. Ecco, all’improvviso, il dolore sale i gradini e bussa con insistenza alla tua porta. In questi casi non può mai mancare una pioggia sottile. In questi casi non può mancare neanche il suono di un carillon. Il mondo, adesso, è racchiuso in una fotografia profumata di borotalco. Un volto che trasmette coraggio e serenità e che sembra prendersi gioco dei piccoli grandi disagi delle nostre esistenze. Due occhi che scrutano l’orizzonte e riservano un sorriso beffardo al destino. Il destino, in fondo, non è altro che una roulette truccata, dove esce sempre il numero zero. E noi siamo solo farfalle costrette ogni giorno a fare i conti con le diaboliche traiettorie del vento. Certe volte vorrei spogliare il tempo come l’autunno spoglia gli alberi. Ogni foglia caduta corrisponde ad una lacrima. Da custodire come una gemma nello scrigno dorato della memoria. Arrivederci Andrea.

scritto il 25 Aprile 2007

Tratto dal libro “La Juve nel Paese di Giralaruota”

Chapman system

Maledetta (dis) informazione. Fruga nel cestino dei rifiuti per costruire miti di panna montata e relega in un cassetto polveroso i giganti del passato. Quelli che hanno scritto la storia del football. Mai sentito parlare di Herbert Chapman? Questo gentleman inglese, classe 1878, aspetto austero ma bonario, può essere considerato uno dei pionieri dello sport più popolare. La sua intuizione più geniale fu il “Sistema”, detto anche Chapman system o WM, modulo di gioco leggendario, che vide il centromediano retrocedere sulla linea dei difensori. Contromisura studiata ad arte da Chapman (su consiglio dell’attaccante Charlie Buchan) per ovviare alla modifica della regola dell’offside: due e non più tre calciatori a tenere in gioco gli avversari. In pratica, Chapman, inventò la figura dello stopper. Una delle tante innovazioni introdotte dall’ingegnere di Rotherham, il primo a puntare su rigorosi metodi d’allenamento, valorizzando il ruolo di preparatori atletici, fisioterapisti e massaggiatori. Altre “creazioni” di Chapman? I numeri di maglia sulla schiena dei calciatori, l’uso dei palloni bianchi ed il ricorso ai riflettori per le gare giocate in notturna. Inoltre, nel 1933, alla vigilia di un Arsenal-Liverpool, Chapman diede una nuova impronta alle divise dei gunners: maniche bianche, così come i calzoncini, e una diversa tonalità di rosso. Novità che permise ai londinesi di “distinguersi” dalle altre squadre. Formidabile stratega e motivatore, Chapman morì di polmonite fulminante il 6 Gennaio 1934, lasciando in eredità l’Arsenal più forte di sempre. Anche per questo i gunners gli hanno dedicato un busto in bronzo, originariamente collocato nel vecchio impianto di Highbury e che oggi troneggia all’interno dell’Emirates Stadium. Nel 2003 il suo nome è stato inserito nella hall fame del calcio inglese. La sua bacheca, ricca e prestigiosa, contiene 5 scudetti (3 con l’Huddersfield, 2 con l’Arsenal) e 2 Coppe d’Inghilterra (1 con l’Huddersfield, 1 con l’Arsenal). Nel 2004, a 70 anni dalla scomparsa, “The Times” l’ha incoronato miglior manager britannico di tutti i tempi. Ovunque si trovi in questo preciso momento, Herbert starà certamente parlando di tattica.

L’eccezione e la regola…..

L’eccezione conferma la regola. Già. Ma quanto può andare avanti l’eccezione? Prendiamo la politica. Circa vent’anni fa, l’inchiesta denominata “Mani Pulite” mise un freno al sistema delle tangenti, ponendo fine, di fatto, alla prima Repubblica. Qualche mese di legalità, il tempo di cambiare un paio di facce ormai impresentabili, poi l’inevitabile ritorno alla corruzione. Quindi alla regola del malaffare. “Regola” non scritta ma costantemente applicata, che costa a questo Paese circa 60 miliardi l’anno. Prendiamo il football. Circa sei anni fa, l’ingannevole rivoluzione battezzata in maniera impropria Calciopoli, permise all’Inter morattiana – a secco di vittorie dalle guerre puniche – di conquistare quattro scudetti e, addirittura, una Champions League. Un lustro di successi ovviamente mitizzato dai soliti giornalisti scodinzolanti e dagli ineffabili opinionisti fintamente super partes. Domanda delle cento pistole: senza l’ingannevole rivoluzione battezzata in maniera impropria Calciopoli, l’Inter avrebbe trionfato ugualmente? La risposta è no. No. E poi ancora no. Perché la “regola” non scritta, ma costantemente applicata, dice che l’Inter morattiana, nonostante i massicci investimenti e il vasto spiegamento di forze, è da sempre abbonata alle batoste. Infatti l’eccezione, durata fin troppo, ha smesso di essere tale. Oggi possiamo dire che l’Inter morattiana è tornata alle origini. Ovvero alla sconfitta come consuetudine. Perché la regola, si sa, spazza sempre via l’eccezione. Tuttavia, guardando l’orizzonte, così squallido, eppure così “regolare”, noterete facilmente una grande anomalia: si chiama Juventus. La Vecchia Signora, sei anni dopo l’ingannevole rivoluzione battezzata in maniera impropria Calciopoli, rimane infatti una “simpatica eccezione”. Perchè l’Inter, la “vera” Inter, è tornata. La Juve, la “vera Juve”, non tornerà più. Amen.

La nostalgia

Ormai non ti fai più fregare dai mestieranti della politica.

Ormai non ti fai più fregare dalla religione.

Ormai non ti fai più fregare dai media.

Ormai non ti fai più fregare dalle banche.

Ormai non ti fai più fregare dagli imbonitori.Televisivi e non.

Ormai non ti fai più fregare dal calcio italiano.

C’è una sola cosa che riesce ancora a fregarti.

Si chiama nostalgia.

L’allenatore ansiogeno

Sono celebrati, strapagati, a volte santificati. Quando va bene si prendono meriti e medaglie, togliendo la scena a quelli che dovrebbero essere gli attori principali. Quando va male vengono accompagnati all’uscita. A calci nel sedere oppure dolcemente, dipende dallo Zamparini di turno. In questo blog mi sono già occupato di loro. Torno sull’argomento per descrivere una figura che sembrava tramontata e che invece sta prendendo il sopravvento nel calcio isterico e volgare di oggi: l’allenatore ansiogeno. Si tratta di un personaggio che staziona a bordocampo per tutti i novanta minuti della partita, stressando i propri calciatori con disposizioni e ordini inutili come i programmi di Giuliano Ferrara. Più agitato di un cocktail, protesta continuamente con arbitro e quarto uomo, rivendicando un corner non concesso alla sua squadra durante il fondamentale Nocerina-Solbiatese. Sempre sull’orlo di una crisi di nervi, risponde in maniera piccata all’unico giornalista che gli pone una domanda discretamente intelligente (scomoda sarebbe sconveniente per la categoria), gridando al complotto per un rigore che tutti quanti hanno visto. Dopo duecento replay. A questo signore, che avvelena i pozzi del calcio e distrugge il talento dei calciatori, bisognerebbe spiegare alcuni concetti, elementari anche per Pippo Franco e Dj Francesco. 1. L’allenatore, quando è veramente in gamba (e quelli bravi si contano sulle dita di una sola mano) non incide mai oltre il 25% sulle fortune di una squadra. 2. Le partite si preparano prima di entrare in campo e si correggono (eventualmente) durante l’intervallo. 3. I calciatori vanno responsabilizzati, motivati e non troppo assillati tatticamente. Altrimenti, e questo vale soprattutto per quelli più dotati tecnicamente, si corre il rischio di snaturarli. 4. A determinare le vittorie – da quando esiste il football – sono i fuoriclasse e non gli allenatori. Nessun tifoso del Barca, dovendo scegliere tra Messi e Guardiola, opterebbe mai per il secondo. 5. Più che riempirsi la bocca di moduli  e schemi – dovendo gestire rose di 25 calciatori – bisognerebbe avere l’accortezza di leggere  qualche buon libro di psicologia.

TAV, Tavolini e clochard

Nel Paese delle opere inutili e degli scudetti assegnati in segreteria (TAV e Tavolini), dei tecnici che indossano il sobrio Loden anche d’estate e dei seriosi dibattiti sulla farfallina di Belen, ogni tanto – per fortuna – si intravede una scintilla di luce. Sono piccoli bagliori, minuscole stelle che fendono il buio e alimentano qualche speranza per il futuro. Voglio quindi raccontarvi la storia di un incontro assolutamente casuale e, anche per questo, meraviglioso. Bar non troppo frequentato: pochi avventori e molti grappini. Si parla di politica e di calcio. Banalità assortite. Poi, mentre sto sorseggiando il mio caffè, sento una voce dal fondo. Una voce da doppiatore. “Ma ancora parlate di politica? Non capite che i politici sono ormai al servizio delle banche? Ormai tutti sono al servizio delle banche, giornalisti compresi. Quindi non bisogna dare retta ai media, che vogliono “venderci” una realtà che non esiste. La verità è che siamo un Paese sotto tutela. Dipendiamo economicamente dalla Germania e politicamente dagli Stati Uniti. Di cosa state parlando, dunque? Siete solo un branco di pecoroni, capaci solo di ripetere le cose sentite in tv o lette sui giornali. Dovreste vergognarvi. Altro che dimenticare il marcio che vi circonda bevendo grappini “. Incantato dal discorso, mi giro e vedo un signore filiforme, sguardo magnetico, che parla agitando un bastone. Età ipotetica: 75/80 anni. Lo guardo fisso negli occhi per qualche secondo e una lama d’ottimismo mi trafigge il cuore. Quindi, come se fosse una cosa normale, vado a stringergli la mano. Poi esco e mi sembra di avere la leggerezza di una piuma. Dopo qualche giorno torno in quel bar, più o meno alla stessa ora, ma quell’uomo non c’è. Chiedo informazioni al barista: “Sta parlando di quel barbone che viene ogni tanto? Quello è completamente matto, sa? Non sa quello che dice. E poi mi deve 6 euro.” A quel punto, indignato da tanta ignoranza e cattiveria, estraggo dalla tasca 6 euro e dico “ecco, adesso il debito è saldato”. E mi faccia un favore, impari a valutare meglio le persone. Grazie e arrivederci”. In strada, immerso in una serenità lieve e inaspettata, mi sembra di camminare dentro una nuvola di borotalco. Penso a quanto sarebbe bello questo Paese. Senza gli italiani.

Don Gesualdo

Oggi voglio ricordare Gesualdo Bufalino, scrittore e poeta siciliano acuto ed irriverente, dallo stile inconfondibile, arrivato al successo letterario in età avanzata (61 anni) grazie allo strepitoso “Diceria dell’untore”, in cui racconta una degenza in sanatorio nel primo dopoguerra. Bufalino, nato a Comiso nel 1920, è morto in un incidente stradale il 14 Giugno 1996. Abbiamo scelto di ricordarlo riproponendo alcuni suoi aforismi.

Ho imparato a non rubare ascoltando Mozart.

L’amore, nella maggior parte dei casi, è soltanto un prestito con cauzione.

La vecchiaia comincia il giorno in cui, invece di scrivere a una donna, le telefoniamo.

La felicità esiste. Ne ho sentito parlare.

Tutte le rivoluzioni cominciano per strada e finiscono a tavola.

In un mondo d’arrivisti buona regola è non partire.

Dovetti scegliere tra morte e stupidità. Sopravvissi.

I vincitori non sanno quello che perdono.

Come ogni brutto sono sempre stato oggetto di passioni disinteressate.

La parola è una chiave, ma il silenzio è un grimaldello.

Un sociologo è colui che va alla partita di calcio per guardare gli spettatori.

Diffidate degli ottimisti, sono la claque di Dio.

Conviene a chi nasce molta oculatezza nella scelta del luogo, dell’anno, dei genitori.

Ricordiamo a lungo chi abbiamo amato, meno a lungo chi ci ha amato.

Capita a volte di sentirsi per un minuto felici. Non fatevi cogliere dal panico: è questione di un attimo, poi passa.

Ci sono due cose che esigono una buona salute per essere fatte: l’amore e la rivoluzione.