La rivincita del gregario

Hans Georg Schwartzenbeck, detto Katsche, era un difensore dai piedi di marmo. Uno dei tanti gregari che affollano la storia del calcio. Rozzo ma terribilmente efficace in marcatura, si incollava al suo uomo per 90 minuti, mollandolo solo tre giorni dopo il triplice fischio finale dell’arbitro. Katsche rappresentava una sorta d’incubo per i telecronisti stranieri, che lo detestevano cordialmente per via di quel cognome impronunciabile. I tifosi del Bayern (la squadra a cui rimarrà fedele per tutta la carriera) avevano occhi e orecchie solo per Beckenbauer, Maier, Uli Hoeness e Gerd Müller. Nessuno parlava mai di Schwartzenbeck, che rimaneva nascosto nella penombra del campo. Lui forse ci soffriva o forse no. Ma, improvvisamente, la sera del 15 Maggio 1974, Katsche ebbe il suo momento di gloria.

L’Atletico Madrid era ormai ad un amen dalla Coppa dei Campioni e l’arbitro belga Loraux stava già portando il fischietto alla bocca per chiudere le ostilità. In quel momento, per qualche oscura ragione, la palla era sui piedi di Schwartzenbeck, che avanzò fino alla tre quarti spagnola e poi fece partire un bolide improvviso. La sfera di cuoio, per motivi che sfuggono alle leggi della ragione, entrò in rete e, visto che allora in finale non erano previsti i rigori, le due squadre furono costrette ad andare al replay. Forse Katsche tirò in porta per disperazione o magari, perché, a furia di giocare con il Kaiser, la sua scarsa autostima era finalmente aumentata. Non lo sapremo mai.

Sappiamo però che, senza quella rete provvidenziale, il Bayern non avrebbe vinto quell’edizione. E chissà, magari neppure quelle successive. La vita di Schwartzenbeck, invece, non cambiò affatto, restando eternamente aggrappata alla ringhiera delle comparse. Ma, da quel giorno, telecronisti e supporters avversari impararono almeno a pronunciare il suo nome.

Tratto dal mio libro “Coppa Campioni Story”. Curcio editore

Giornalismo d’inchiesta? No, grazie.

Sono orgoglioso di aver realizzato, insieme al regista Stefano Grossi, il film documentario su Calciopoli. Fossimo in un altro Paese, sarebbe già stato trasmesso in tv. Ma siamo in Italia, la nazione che ignora il giornalismo d’inchiesta. Del resto, stiamo parlando, di un posto che ha dato i natali a gente come Bruno Vespa, Giuliano Ferrara e Fabio Fazio. Il messaggio, condiviso da tutti i media (tranne qualche rarissima eccezione) è: vietato toccare i poteri forti.

Le parole che vorreste dirmi

“Le parole che vorreste dirmi” è un viaggio immaginario nel piccolo grande universo di cani e gatti. Il sottoscritto ha provato a dare voce e luce ai loro pensieri, dipingendo una serie di quadretti che si incastrano a fatica nel complicato puzzle del mondo. Cani e gatti non si limitano ad esprimere il loro punto di vista, ma ci dicono cosa siamo diventati e dove stiamo andando. La loro preziosa testimonianza, intinta nell’inchiostro del sentimento, colora la speranza, rendendo meno tortuosa la strada che conduce al futuro. Il libro, in vendita a 10 euro, uscirà entro Fine Aprile. Prenotalo adesso.

Prima del 2006…

Il campionato di Serie A, prima di Calciopoli, non era il migliore dei mondi possibili. Ma, con tutti i suoi difetti, era un signor campionato. C’erano squadre mediamente forti, in grado di competere anche in Europa. Guardatelo oggi, il “vostro” campionato: sono rimasti i vizi, è sparita la qualità. E, per la prima volta nella storia, una società fallisce a competizione in corso. Falsando ulteriormente un torneo già poco credibile di suo. La colpa non è solo di chi gestisce il carrozzone, ma anche di chi continua a seguire e tifare come se niente fosse successo.

La verità è che il calcio italiano è clinicamente morto nel 2006. Prima lo capiranno lor signori (dirigenti, tifosi, addetti ai lavori), meglio sarà per quelli che dovranno ricostruire partendo dalle macerie.

 

Per voi

Per voi
che siete chiusi in un Palazzo inaccessibile
che sapete difendere solo i vostri privilegi
e gli amici degli amici…
Per voi
che avete azzerato i sogni di milioni di persone
che desideravano solo vivere in un Paese libero
un Paese civile e veramente democratico
Per voi
che avete mandato allo sbaraglio magistrati e poliziotti
gente che ha pagato con la vita
l’amore per la legalità e per questa terra desolata.
Per voi
che avete lacerato e diviso questo Paese
che avete spento il futuro dei nostri ragazzi
togliendo loro anche la speranza.
Per voi io non provo disprezzo
e nemmeno odio
solo pena e commiserazione.
Vorrei possedere il dono dell’ubiquità
per essere in tutti i posti dove parlate
per smascherare le vostre bugie
e la vostra incoerenza.
Vorrei che ogni vostro discorso
fosse seppellito da una risata.
Perchè forse lo sberleffo è l’unica cosa
che vi fa davvero paura.

Scritta nel Luglio del 2007

Non è un Paese per giovani

Non è un Paese per giovani, già si sapeva. E mai lo sarà. Perchè, ogni segmento della vita pubblica, è dominato da vecchi (se non bacucchi) che non vogliono abbandonare il palcoscenico. Succede nella politica, nell’economia, nello spettacolo e anche nel calcio.

 Ma perchè uscire di scena è così difficile? Eppure compiere il “beau geste” sarebbe un atto di nobiltà verso le nuove generazioni, ormai stanche di aspettare il loro turno. Per dirne una (ma è solo un esempio), l’età minima per diventare Presidente della Repubblica, è il raggiungimento dei 50 anni. Nonostante questo, Giorgio Napolitano si è insediato al Quirinale alla veneranda età di 81 anni, mentre il suo successore, Sergio Mattarella, ne ha raccolto il testimone alla rispettabile età di 74.

Non è un Paese per giovani, già si sapeva. Ma c’è chi giustifica l’andazzo con la patetica scusa “i vecchi hanno il dono della saggezza”. Falso. Perchè se uno è idiota a vent’anni, state sicuri che, col tempo, potrà solo peggiorare.

Gimme five

Sulla ruota della Coppa Campioni/Champions League, la cinquina è uscita solo una dozzina di volte. Il primo a riuscire nell’impresa fu Sven Ove Ohlsson, punta del Göteborg. Accadde il 19 Settembre 1959, nel 6-1 inflitto dagli svedesi ai nordirlandesi del Linfield.

Due anni dopo, fu il turno di un altro attaccante scandinavo, Bent Løfqvist (B1913) che raggiunse il podio di bomber in quell’edizione (sia pure a pari merito) sparando tutte le sue cartucce nelle due partite contro i lussemburghesi dello Spora.

Nel 1962 toccò al brasiliano Josè Altafini e all’inglese Ray Crawford. Il primo prese di mira un’altra squadra lussemburghese, l’Union, il secondo diventò l’incubo dei maltesi dell’Hibernians.

Negli anni sessanta ci furono altre 3 iscrizioni all’albo del 5. Dal bulgaro Nikola Kotkov, che prese a “pallonate” il portiere del Malmoe, al leggendario centravanti ungherese Florian Albert, Pallone d’Oro del 1967, che sbeffeggiò i teneri islandesi del Keflavik. Il decennio fu chiuso dal regale Paul Van Himst, uno dei migliori calciatori europei dell’epoca, che anestetizzò la retroguardia dell’Haka Valkeakoski.

Negli anni settanta gli exploit realizzativi furono 3. A cominciare dal cannoniere per eccellenza, ovvero il tedesco Gerd Müller, performance ottenuta nel 1972, contro i ciprioti dell’Omonia. Sei anni più tardi, il centravanti del Bayern fu emulato dallo svizzero Claudio Sulser, altro satanasso dell’area di rigore, che non ebbe soverchie difficoltà a perforare l’insulsa difesa della Valletta.

Nel 1979, ecco il decimo della lista: Soren Lerby, danese dell’Ajax e primatista del goal di quell’edizione. Nei panni di agnello sacrificale il solito Omonia Nicosia. Dopo qualche stagione di black out, arriviamo al 1999, con l’acuto di Mikhail Mikholap, attaccante lettone dello Skonto Riga che, nei preliminari della competizione, rifila 5 sberle al malcapitato portiere del Jeunesse D’Esch.

Poi le difese prendono le adeguate contromisure e le goleade diminuiscono. Per ritrovare il penta-goleador ci voleva proprio lui, Lionel Messi, l’unico ad aver siglato una cinquina contro una squadra (Bayer Leverkusen) non catalogabile alla voce materasso.

Tratto dal mio libro “Coppa Campioni story” Curcio editore

Il diritto di satira

La libertà, diceva Victor Hugo, comincia dall’ironia. Per questo rivendico il diritto di satira su tutto, religione compresa. Bisogna fermarsi solo davanti alla morte e di fronte ai più deboli: bambini, anziani, animali. Quindi tanto di cappello ai giornalisti di Charlie Hebdo, che non si sono fatti intimidire dalle minacce. Come diceva Emiliano Zapata “meglio morire in piedi che vivere in ginocchio”.

Buon 2015 ma anche no..

Auguro un 2015 scintillante a tutte le persone che mettono al primo posto la dignità ed il senso della giustizia.

Nessun augurio particolare agli indifferenti e a quelli che hanno perso la capacità di indignarsi.

Auguro un 2015 sgradevole agli egoisti, ai superficiali e ai disinformati.

Infine auguro un 2015 terrificante ai politici che hanno devastato l’Italia e a tutti coloro che non rispettano (o peggio, maltrattano) gli animali.

Amarcord (Come una rondine)

Come una rondine

Ci sono giorni in cui la malinconia schiude i suoi petali come se fosse una rosa. Il sole abbaglia i tuoi pensieri e lo schermo dell’anima non trasmette più i tuoi sogni. Nell’aria senti l’eco di un violino disperato, mentre un cocchiere distratto lascia cadere dalla diligenza del tempo le tue valigie piene di ricordi. Forse in quei momenti pensi di essere una rondine. E come una rondine vorresti volare via dalle miserie del mondo. Senza dare spiegazioni a nessuno: neanche a te stesso. Forse in quei momenti pensi di essere una rondine. E come una rondine vorresti diventare un puntino minuscolo nel cielo. Fino a renderti invisibile.

Probabilmente, riavvolgendo il nastro della tua vita, hai rivisto cose che ti hanno ferito. Probabilmente, cercando di completare il puzzle della tua esistenza, non hai trovato le tessere mancanti. Probabilmente qualcuno ha inquinato il ruscello dove scorre l’acqua dei tuoi sentimenti.

Conosco la depressione: è una stanza buia e vuota, dove i pensieri sbandano e dove ogni cosa, anche la più importante, improvvisamente sembra non contare più nulla. Non è vero che se ne vanno sempre i migliori: tu, persona profonda in un ambiente che sa sempre distinguersi per superficialità e maleducazione, sei riuscito a scansare il tunnel che conduce verso l’ignoto. Oggi, caro Gianluca, i tuoi occhi hanno una luce nuova. E, ogni volta che ti rivediamo, non possiamo fare a meno di intenerirci. In fondo, tutti noi abbiamo nell’anima una rondine che vorrebbe sfuggire alle miserie del mondo. Ma c’è sempre una ragione per vivere. E quando non c’è, dobbiamo sforzarci di trovarla.

Giugno 2007 – Tratto dal libro “La Juve nel Paese di Giralaruota”.