Nel mio podcast torno a parlare di calcio…

riveraOggi parlo di calcio, credo di potermelo permettere, avendo scritto 16 libri sull’argomento.

Tra l’altro, in alcuni di questi ho anche raccontato la storia del football, partendo dalle origini e cercando di dare visibilità a quei tecnici e calciatori che hanno davvero contribuito allo sviluppo di questo sport.

La premessa per dire che il sottoscritto ha sempre vissuto il calcio come passione, una passione viscerale che da diverso tempo ha lasciato il posto all’abitudine.

Si, oggi seguo il football solo per abitudine.

E mi tengo alla larga dal calcio parlato, terreno per giornalisti e opinionisti inaffidabili come Giuliano Ferrara davanti a un buffet.

Si, oggi seguo il football solo per abitudine.

Perché non mi riconosco in un prodotto, oggi preferisco chiamarlo così, un prodotto siliconato, monotono, soporifero.

Le partite sono pallose e annoiano anche i grandi campioni del passato, che, per principio, rifiutano di guardarle.

Michel Platini ha addirittura lanciato l’idea di togliere un calciatore e far giocare le squadre dieci contro dieci.

Ovviamente si tratta di una provocazione, ma il senso delle parole di Platini è molto chiaro: usciamo da questo vicolo cieco.

Ridiamo nuova linfa al gioco.

Perché ormai, salvo rare eccezioni, le partite sono tutte uguali.

Lagnose come un monologo di Saviano.

Non ci sono spazi, hanno eliminato dal gioco il dribbling, severamente proibito dagli allenatori, per scoraggiare chi osa provarlo, hanno messo una dura punizione: trascorrere una giornata con Adani.

Hanno relegato il cross a un ruolo di comprimario: si arriva sul fondo e si ritorna indietro, fino al portiere.

La manovra comincia sempre dal basso, anche con difensori che al posto dei piedi hanno il marmo di Carrara.

Ci si passa la palla per un quarto d’ora, con una serie di tocchi orizzontali che fanno sembrare piacevole persino una riunione di condominio.

Mancando la tecnica, ci si attacca al pressing: chi ha la palla viene seguito anche in bagno e mollato solo quando sta per tirare lo sciacquone.

E poi c’è il Var, che rende tutto più ridicolo.

Ormai, per avere la certezza che il goal sia regolare, i calciatori devono attendere l’assemblea generale dell’Onu, sperando che nessuno metta il veto.

Non parliamo poi del vil denaro: circolano troppi soldi e vengono elargiti a pieni mani a gente capace di sbagliare anche passaggi di due metri.

Se pensiamo a quanto hanno guadagnato i fuoriclasse del passato e quanto incassano i mestieranti di oggi, il dispiacere aumenta.

Non è vero che si gioca troppo, ma è vero che si vede troppo calcio in tv.

E, data la mediocrità dello spettacolo, questo crea disaffezione.

Specie nei giovani.

Concludo con tre piccoli suggerimenti da vecchio appassionato.

1. Spostare di 20 metri più in là la linea del fuorigioco. In questo modo le squadre saranno costrette ad allungarsi e, come conseguenza, il pressing diventerà meno asfissiante, migliorando lo spettacolo.

2. Mettere finalmente un tetto agli ingaggi, prima che il prodotto rischi l’implosione.

3. Ridurre il potere dei procuratori, oggi come oggi i veri padroni del Sistema.

4. Abolire le conferenze stampa e le interviste di presidenti, allenatori e calciatori: annoiano quasi come le partite.

5. Mettere ai lavori socialmente utili i telecronisti, la cui enfasi è in palese contraddizione con la qualità dello spettacolo.

E allora Martellini e Pizzul, quando commentavano i veri fuoriclasse, quanto avrebbero dovuto urlare?

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