La vera essenza del calcio

Due episodi, apparentemente lontanissimi, hanno contrassegnato il weekend calcistico appena trascorso. 1. Dani Alves, preso di mira dal solito idiota razzista, risponde alla provocazione con una prontezza di spirito degna di Groucho Marx, raccogliendo e mangiando la banana lanciata dagli spalti del Madrigal. 2. Steven Gerrard, capitano e simbolo del Liverpool più spettacolare degli ultimi dieci anni (e forse più), scivola sull’ultimo pallone del primo tempo, dando la stura alla cavalcata trionfale di Demba Ba. Un errore che potrebbe costare uno scudetto che Anfield attende da 24 anni, subito “cancellato” dal coro che parte pochi secondi dopo: “Steven Gerrard”, ripetuto ad libitum. Immediatamente seguito dalle struggenti note di “You’ll Never Walk Alone”, il leggendario inno dei reds.

Ecco, in questi due episodi, apparentemente lontanissimi, c’è la vera essenza del calcio. Il football che dice no al razzismo lasciando da parte la retorica per fare spazio ad una scintillante ironia. Il football che non dimentica, rimanendo al fianco del campione in difficoltà. Ecco, questo è il calcio che più ci piace. In barba agli allenatori catenacciari, muniti di super-ego. In barba alle squadre che spadroneggiano approfittando della mediocrità altrui. In barba ai presunti fuoriclasse, decisivi una volta all’anno, ma viziati oltre ogni decenza dai media.

 

Giornali? No, grazie.

Fino al 2006 ero un divoratore di giornali. Quotidiani, settimanali, riviste: non mi facevo mancare nulla. Leggevo tutto, con bramosa avidità, tralasciando solo il gossip e la cronaca nera. Leggevo tutto, ben sapendo che solo il 20% di quello che passava davanti ai miei occhi poteva essere considerato attendibile. La mia curiosità è stata la chiave per raggiungere l’indipendenza di pensiero. Mi è sempre piaciuto osservare la realtà e la psiche umana, cercando di cogliere gli aspetti più reconditi e misteriosi. Anche per questo mi è sempre riuscito abbastanza agevole stanare le menzogne e la malafede.

Il mio rapporto con il cartaceo è cambiato nell’estate del 2006. Do you remenber Calciopoli? Nulla a che vedere con il calcio, molto a che fare con i giochetti di potere dei soliti noti. Ventriloqui che, guarda caso, controllano i principali giornali nazionali.

Mi aspettavo che il finto scandalo fosse trattato con un minimo sindacale di onestà intellettuale. Niente di tutto questo. E’ andata invece in scena la più grande truffa giornalistica della storia, consumata ai danni di un popolo ingenuo e distratto.

Troppo anche per un divoratore di giornali come me. Così, dall’estate del 2006, compro solo la Settimana Enigmistica e, qualche volta, il Guerin Sportivo. Il mio edicolante, che prima mi accoglieva con un sorriso a 32 denti, oggi mi saluta a malapena.

Dal 2006 m’informo solo sul web. Gratis. Qualche sito di fiducia, molte ricerche e diverse incursioni nelle home page dei principali organi d’informazione internazionali.

 

Il senso critico

“Nel Paese della Memoria il tempo è sempre Ora”

Seguendo il filo logico della frase di Stephen King, in Italia, Paese senza memoria, il tempo è sempre Mai.

Non è mai tempo di cambiamenti, di rivoluzioni culturali, di prese di coscienza collettive.

La mancanza di memoria storica è uno dei principali difetti dell’italiano medio. Guasto che favorisce le tante repliche del film a cui assistiamo da oltre quaranta anni.

Ma il vero problema dell’italiano medio è la totale mancanza di senso critico. Quel senso critico che ti consente di osservare la realtà con la lente d’ingrandimento del pragmatismo.

Quel senso critico che ti consente di leggere i giornali e guardare la tv senza farti abbindolare da nessuno.

Quel senso critico che ti consente di avere un’opinione precisa e disincantata su tutto o quasi.

Purtroppo il senso critico non si può insegnare: ce l’hai o non ce l’hai. E se non ce l’hai sarai sempre facile preda di politici senza scrupoli, imbonitori da strapazzo, giornalisti di regime.

Quindi, come si vede, non c’è via d’uscita al degrado di questo Paese addormentato.

Perchè all’italiano medio – senza senso critico – sta bene tutto. Ma proprio tutto.

“Una società globalizzata si governa meglio se è fatta di persone con poco senso critico, quindi irrazionali”. Danilo Mainardi, etologo.

Quelli che…

Parafrasando gli indimenticabili Enzo Jannacci e Beppe Viola, ecco il mio piccolo campionario di quelli che.

Quelli che scrivono il cartello “Asino chi legge” ignorando di essere stati i primi a leggerlo.

Quelli che, quando scatta il verde, ti suonano perchè dopo ben 2 nanosecondi non sei ancora partito.

Quelli che ti parlano per un’ora dei loro problemi e, quando tu cerchi di spostare il discorso su altri argomenti, ti congedano con un brusco “scusami, ma adesso devo proprio scappare”.

Quelli che ti guardano con stupore misto a compatimento solo perchè stai dando da mangiare a dei gatti di strada.

Quelli che preferiscono frequentare i gatti piuttosto che persone munite di un solo neurone.

Il grande vecchio

Il potere ha molte facce. Facce irritanti, fastidiose, nauseabonde. Facce che raccontano meglio di un Saggio di Enzo Biagi le vicende di un Paese dominato da una gerontocrazia famelica e corrotta. Il potere ha il volto invisibile del “Grande Vecchio”, l’uomo che lavora nell’ombra. E’ proprio lui – impermeabile bianco d’ordinanza, bavero rialzato – ad imbastire complotti e trame oscure. Facile immaginare un “Grande Vecchio” dietro tanti accadimenti italiani. Eventi che hanno cambiato la storia politica di una nazione ad un passo dal fallimento economico, ma già da tempo alle prese con un “default” di ordine morale. Neppure il calcio, arma di distrazione di massa, la cosa più seria tra tutte quelle frivole, poteva sfuggire alle attenzioni del “Grande Vecchio”, il ventriloquo capo che scrive i testi ai pupazzi. E’ lui a decidere il momento, il timbro della voce, il colore della cravatta. E i pupazzi, notoriamente privi di personalità e spina dorsale, si limitano ad eseguire gli ordini.

La sindrome di Stoccolma

Ormai non ci sono più dubbi: l’italiano medio è in pieno delirio da Sindrome di Stoccolma. Altrimenti avrebbe già smesso da un pezzo di votare per i partiti che hanno devastato questo Paese e, di conseguenza, la sua vita. Invece il rapporto tra carnefici e vittime prosegue senza sosta, con i primi pienamente consapevoli dello stato psicologico dei secondi, da tempo prigionieri di un perfido sortilegio. Il terribile incantesimo ha completamente annebbiato i cervelli delle vittime, ormai facile preda di politici pregiudicati e finti rottamatori pompati mediaticamente.

Il concetto di Sindrome di Stoccolma può essere esteso anche al football, con il tifoso medio di una nobile squadra di calcio sfrontatamente schierato con le persone che, nell’ormai lontano 2006, hanno squarciato i muri di una storia ultracentenaria.

Innamorarsi dei propri aguzzini è da masochisti, il primo passo verso l’autodistruzione. Anna Freud, figlia di Sigmund, ha definito questa patologia “identificazione con l’aggressore”. Purtroppo, per spiegare le logiche irrazionali di questo Paese, siamo stati costretti a scomodare una psicoanalista.

Buon Natale

Buon Natale

Anche se è un pessimo Natale

Buon Natale

a chi non ha più voce

a chi piange in silenzio per non farsi sentire

Buon Natale

a chi ha spento la luce

sperando di chiudere gli occhi e  poi morire.

Buon Natale

a chi non ha niente

solo una fragile speranza

Buon Natale

alla moltitudine di gente

che ne ha ormai abbastanza.

Di questo Paese senza futuro

di questo mondo squallido e insicuro

di questo inverno lungo quarant’anni

dei due Letta, Enrico e Gianni.

Di questo Paese senza giustizia

di questa politica immondizia

di questa informazione truccata

di questa eterna rapina a mano armata.

Buon Natale

Anche se è un pessimo Natale

Buon Natale

a tutti gli animali che non ci sono più

e che oggi contano le stelle.

Buon Natale

perchè siete scolpiti nel mio cuore

e in ogni centimetro della mia pelle.

Arrivederci, Madiba

Trovo che la gente, specialmente i giovani, faccia un uso indiscriminato dell’aggettivo mitico. Eppure viviamo tempi mediocri e moralmente – per usare una perifrasi – disdicevoli. Chi scrive può vantarsi di non aver mai sprecato l’appellativo, riservandolo solo a coloro che hanno lasciato un segno indelebile della loro presenza. Per farla breve, nel mio Pantheon virtuale ci sono Sandro Pertini, Martin Luther King, Ennio Flaiano e Josè Mujica, presidente dell’Uruguay. Ma, soprattutto, c’è lui, il più grande di tutti. Nelson Mandela. Un uomo che, al di là di ogni retorica, ha davvero combattuto per un mondo migliore. Una vita intera dedicata alla lotta contro l’apartheid. 27 anni di carcere duro in nome di un principio. Sempre con il basso profilo della saggezza. E con la pazienza di chi sa di avere ragione. Niente smanie di protagonismo, nessun attaccamento al potere e ai beni materiali. L’interesse collettivo come unico dogma. Perchè Mandela era un vero statista. L’esatto contrario dei piccoli uomini che hanno governato e governano il nostro malandato Paese. Madiba se n’è andato con la stessa dignità con cui ha combattuto l’apartheid. Trovo che la gente faccia un uso indiscriminato anche del sostantivo femminile libertà. Ma poche persone possono permettersi di pronunciare quella parola guardandosi allo specchio. Ecco, da oggi, nei dizionari, alla voce libertà, vorrei ci fosse scritto “sinonimo di Nelson Mandela”.

Giornali

Un giornale non è un prodotto come tutti gli altri. Un giornale dovrebbe rappresentare qualcosa di nobile. Un giornale dovrebbe avere principalmente rispetto per i propri lettori. Come si rispettano i lettori? Separando i fatti dalle opinioni, con l’obiettività, col coraggio, con la fantasia, con la preparazione dei giornalisti, con la capacità d’indignazione. Giusto cercare di vendere tante copie, ma senza mai cavalcare gli umori del bacino d’utenza. Quindi affrontando i problemi anche quando farebbe più comodo nasconderli sotto il tappeto del salotto, quindi graffiando le pareti del potere: anche a costo di farsi male. Quindi proponendo inchieste scottanti e documentate, quindi fornendo al lettore tutti gli elementi per comprendere dove sta andando il mondo. Siamo fortemente convinti che un giornale così rischierebbe di avere un successo strepitoso. Invece, da sempre, i direttori dei giornali tendono a sottovalutare l’intelligenza degli italiani. E quindi propongono prodotti che strizzano l’occhio ai potenti. Pagine scialbe e piene di luoghi comuni, senza un barlume di creatività. Articoli scritti da gente faziosa ed incompetente. Vogliamo dirla tutta? Senza il finanziamento pubblico, molti giornali, anche i più celebrati, sarebbero costretti a chiudere i battenti. Tutti a lamentarsi per la scarsa propensione alla lettura dell’italiano medio. Nessuno che si preoccupi della salute di questa democrazia malata. Ridotta in fin di vita anche grazie alla complicità dei giornali.