Brasile 2014 in cifre

Ecco il bilancio statistico di Brasile 2014

Goal segnati: 171, eguagliato lo score del 1998. Media di 2,67 per match

Over: 34

Under: 30

Girone con più reti: B (22)

Girone con meno reti: D (12)

Maggior numero di goal realizzati: Germania, 18

Minor numero di goal realizzati: Iran, Honduras e Camerun, 1

Minor numero di goal subiti: Costarica, 2

Maggior numero di tiri: Brasile, 111

Maggior di tiri nello specchio: Brasile, 72

Minor numero di tiri: Iran, 22

Minor numero di tiri nello specchio: Iran, 12

Maggior numero di passaggi: Germania, 5084

Maggior numero di passaggi completati: Germania, 4157 (82%)

Minor numero di passaggi: Iran, 950

Minor numero di passaggi completati: Iran, 604

Maggior numero di cross: Argentina, 174

Minor numero di cross: Italia, 36

Maggior numero di contrasti riusciti: Brasile, 141

Maggior numero di falli commessi: Olanda, 126

Maggior numero di falli subiti: Brasile, 129

Calciatore più falloso: Marouane Fellaini, 19

Calciatore che ha subito più falli: Arjen Robben, 28

Maggior numero di ammonizioni: Brasile, 14

Squadra più volte in offside: Italia, 23

Calciatore con più tiri: Karim Benzema, 32

Calciatore con più tiri in porta: Karim Benzema, 25

Calciatore con più passaggi completati: Philip Lahm, 562

Calciatore con più chilometri percorsi: Thomas Müller (USA), 83,957

Partita più spettacolare: Germania-Ghana 2-2

Capocannoniere: James Rodriguez (Colombia), 6 reti

Espulsioni: 10

Squadra più divertente per il blog: Colombia

Squadra più convincente per il blog: Germania

La rivelazione per il blog: Costarica

Squadra più deludente per il blog: Spagna

Miglior calciatore del torneo per il blog: Thomas Müller (Germania)

I calciatori che hanno inciso di più per il blog: Müller, Messi, Robben, J.Rodriguez, Neuer e, ovviamente, Gotze.

 

Ha vinto il calcio

Ha vinto il calcio. Il calcio propositivo e organizzato. Il calcio dove è il singolo a mettersi a disposizione del collettivo e non viceversa.

Il calcio che non fa della vittoria una questione di vita o di morte. Il calcio che festeggia i successi con sobrietà e compostezza. Niente esultanze fuori dalle righe e niente disordini e incidenti nelle strade.

Ha vinto il calcio che crede nei giovani e, quindi, nel futuro. Il calcio che non ha paura di confrontarsi a viso aperto: testa alta e difesa altissima. A costo di farsi infilare da Higuain e Palacio.

Ha vinto il calcio di Manuel Neuer, portiere unico e irripetibile. Piedi da centrocampista e disinvoltura al limite della sfrontatezza.

Ha vinto il calcio di Mats Hummels, un Jurgen Kohler dai piedi educati.

Ha vinto il calcio di Bastian Schweinsteiger, uno dei centrocampisti più completi di sempre. Puoi anche picchiarlo per 120 minuti: lui si rialzerà sempre. Più forte di prima.

Ha vinto il calcio di Miro Klose, un esempio per tutti gli attaccanti che pensano di essere arrivati dopo una rete segnata in amichevole.

Ha vinto il calcio di Thomas Müller, incarnazione del football totale. Lo spocchioso Maradona, che umiliò pubblicamente il tedesco 4 anni fa scambiandolo per un raccattapalle, adesso avrà imparato a conoscerlo.

Ha vinto il calcio di Philip Lahm, restituito a furor di popolo al suo ruolo naturale, alla faccia di Guardiola e di tutti quegli allenatori che, pur di compiacere il proprio ego, perdono di vista la logica.

Anche se ha perso la partita più importante della sua carriera, per noi ha vinto anche  Messi. E chi se ne frega se, a differenza di Maradona, Lionel non ha mai alzato al cielo una Coppa del Mondo. La grandezza di Messi – lo dicono i numeri – non ha bisogno di ulteriori attestati e certificazioni. E poi, la sua Argentina era, oggettivamente, una squadra dozzinale.

Nel nostro piccolo, ha vinto anche questo blog. Non è da tutti prevedere, con largo anticipo, le due finaliste e la vincente del torneo.

Due parole a parte per la meraviglia di Mario Gotze. Stop di petto e sinistro al volo: per Romero è quasi effetto Giulietta. Due parole a parte anche per la dedica di Gotze: per Marco Reus, fermato da un infortunio ad un passo dal Mondiale. Questi sono campioni. Questi sono uomini. Mentre noi ci becchiamo Balotelli e Cassano.

P. s: affidare la finale del Mondiale a Rizzoli (voto 3, anche al bombardamento mediatico) è come andare a lezioni di italiano da Lapo Elkann.

Top five degli inni

Calcio e musica: lingue universali. Visto che nemmeno oggi si gioca, proviamo a  parlare di musica. Qual è l’inno più bello del Mondiale? Ecco la mia personale classifica. Cominciamo dal fondo.

Hino nacional brasileiro o Marcha Triunfal (musica di Francisco Manuel da Siilva, testo di Joaquim Osorio Duque Estrada)

La Marsigliese (musica e parole di Claude Joseph Rouget de Lisle)

Gimn Rossijskoj Federacii (musica di Aleksandr Vasil’evič Aleksandrov, testo di Sergej Vladimirovič Michalkov)

God Save the Queen, l’inno più antico del mondo (musica e testo attribuite a John Bull)

Das Lied der Deutschen (musica di Joseph Haydn, parole di August Heinrich Hoffmann)

Ovviamente ognuno può farsi la sua personale top five.

La vera essenza del calcio

Due episodi, apparentemente lontanissimi, hanno contrassegnato il weekend calcistico appena trascorso. 1. Dani Alves, preso di mira dal solito idiota razzista, risponde alla provocazione con una prontezza di spirito degna di Groucho Marx, raccogliendo e mangiando la banana lanciata dagli spalti del Madrigal. 2. Steven Gerrard, capitano e simbolo del Liverpool più spettacolare degli ultimi dieci anni (e forse più), scivola sull’ultimo pallone del primo tempo, dando la stura alla cavalcata trionfale di Demba Ba. Un errore che potrebbe costare uno scudetto che Anfield attende da 24 anni, subito “cancellato” dal coro che parte pochi secondi dopo: “Steven Gerrard”, ripetuto ad libitum. Immediatamente seguito dalle struggenti note di “You’ll Never Walk Alone”, il leggendario inno dei reds.

Ecco, in questi due episodi, apparentemente lontanissimi, c’è la vera essenza del calcio. Il football che dice no al razzismo lasciando da parte la retorica per fare spazio ad una scintillante ironia. Il football che non dimentica, rimanendo al fianco del campione in difficoltà. Ecco, questo è il calcio che più ci piace. In barba agli allenatori catenacciari, muniti di super-ego. In barba alle squadre che spadroneggiano approfittando della mediocrità altrui. In barba ai presunti fuoriclasse, decisivi una volta all’anno, ma viziati oltre ogni decenza dai media.

 

Giornali? No, grazie.

Fino al 2006 ero un divoratore di giornali. Quotidiani, settimanali, riviste: non mi facevo mancare nulla. Leggevo tutto, con bramosa avidità, tralasciando solo il gossip e la cronaca nera. Leggevo tutto, ben sapendo che solo il 20% di quello che passava davanti ai miei occhi poteva essere considerato attendibile. La mia curiosità è stata la chiave per raggiungere l’indipendenza di pensiero. Mi è sempre piaciuto osservare la realtà e la psiche umana, cercando di cogliere gli aspetti più reconditi e misteriosi. Anche per questo mi è sempre riuscito abbastanza agevole stanare le menzogne e la malafede.

Il mio rapporto con il cartaceo è cambiato nell’estate del 2006. Do you remenber Calciopoli? Nulla a che vedere con il calcio, molto a che fare con i giochetti di potere dei soliti noti. Ventriloqui che, guarda caso, controllano i principali giornali nazionali.

Mi aspettavo che il finto scandalo fosse trattato con un minimo sindacale di onestà intellettuale. Niente di tutto questo. E’ andata invece in scena la più grande truffa giornalistica della storia, consumata ai danni di un popolo ingenuo e distratto.

Troppo anche per un divoratore di giornali come me. Così, dall’estate del 2006, compro solo la Settimana Enigmistica e, qualche volta, il Guerin Sportivo. Il mio edicolante, che prima mi accoglieva con un sorriso a 32 denti, oggi mi saluta a malapena.

Dal 2006 m’informo solo sul web. Gratis. Qualche sito di fiducia, molte ricerche e diverse incursioni nelle home page dei principali organi d’informazione internazionali.

 

Il senso critico

“Nel Paese della Memoria il tempo è sempre Ora”

Seguendo il filo logico della frase di Stephen King, in Italia, Paese senza memoria, il tempo è sempre Mai.

Non è mai tempo di cambiamenti, di rivoluzioni culturali, di prese di coscienza collettive.

La mancanza di memoria storica è uno dei principali difetti dell’italiano medio. Guasto che favorisce le tante repliche del film a cui assistiamo da oltre quaranta anni.

Ma il vero problema dell’italiano medio è la totale mancanza di senso critico. Quel senso critico che ti consente di osservare la realtà con la lente d’ingrandimento del pragmatismo.

Quel senso critico che ti consente di leggere i giornali e guardare la tv senza farti abbindolare da nessuno.

Quel senso critico che ti consente di avere un’opinione precisa e disincantata su tutto o quasi.

Purtroppo il senso critico non si può insegnare: ce l’hai o non ce l’hai. E se non ce l’hai sarai sempre facile preda di politici senza scrupoli, imbonitori da strapazzo, giornalisti di regime.

Quindi, come si vede, non c’è via d’uscita al degrado di questo Paese addormentato.

Perchè all’italiano medio – senza senso critico – sta bene tutto. Ma proprio tutto.

“Una società globalizzata si governa meglio se è fatta di persone con poco senso critico, quindi irrazionali”. Danilo Mainardi, etologo.

Quelli che…

Parafrasando gli indimenticabili Enzo Jannacci e Beppe Viola, ecco il mio piccolo campionario di quelli che.

Quelli che scrivono il cartello “Asino chi legge” ignorando di essere stati i primi a leggerlo.

Quelli che, quando scatta il verde, ti suonano perchè dopo ben 2 nanosecondi non sei ancora partito.

Quelli che ti parlano per un’ora dei loro problemi e, quando tu cerchi di spostare il discorso su altri argomenti, ti congedano con un brusco “scusami, ma adesso devo proprio scappare”.

Quelli che ti guardano con stupore misto a compatimento solo perchè stai dando da mangiare a dei gatti di strada.

Quelli che preferiscono frequentare i gatti piuttosto che persone munite di un solo neurone.

Il grande vecchio

Il potere ha molte facce. Facce irritanti, fastidiose, nauseabonde. Facce che raccontano meglio di un Saggio di Enzo Biagi le vicende di un Paese dominato da una gerontocrazia famelica e corrotta. Il potere ha il volto invisibile del “Grande Vecchio”, l’uomo che lavora nell’ombra. E’ proprio lui – impermeabile bianco d’ordinanza, bavero rialzato – ad imbastire complotti e trame oscure. Facile immaginare un “Grande Vecchio” dietro tanti accadimenti italiani. Eventi che hanno cambiato la storia politica di una nazione ad un passo dal fallimento economico, ma già da tempo alle prese con un “default” di ordine morale. Neppure il calcio, arma di distrazione di massa, la cosa più seria tra tutte quelle frivole, poteva sfuggire alle attenzioni del “Grande Vecchio”, il ventriloquo capo che scrive i testi ai pupazzi. E’ lui a decidere il momento, il timbro della voce, il colore della cravatta. E i pupazzi, notoriamente privi di personalità e spina dorsale, si limitano ad eseguire gli ordini.

La sindrome di Stoccolma

Ormai non ci sono più dubbi: l’italiano medio è in pieno delirio da Sindrome di Stoccolma. Altrimenti avrebbe già smesso da un pezzo di votare per i partiti che hanno devastato questo Paese e, di conseguenza, la sua vita. Invece il rapporto tra carnefici e vittime prosegue senza sosta, con i primi pienamente consapevoli dello stato psicologico dei secondi, da tempo prigionieri di un perfido sortilegio. Il terribile incantesimo ha completamente annebbiato i cervelli delle vittime, ormai facile preda di politici pregiudicati e finti rottamatori pompati mediaticamente.

Il concetto di Sindrome di Stoccolma può essere esteso anche al football, con il tifoso medio di una nobile squadra di calcio sfrontatamente schierato con le persone che, nell’ormai lontano 2006, hanno squarciato i muri di una storia ultracentenaria.

Innamorarsi dei propri aguzzini è da masochisti, il primo passo verso l’autodistruzione. Anna Freud, figlia di Sigmund, ha definito questa patologia “identificazione con l’aggressore”. Purtroppo, per spiegare le logiche irrazionali di questo Paese, siamo stati costretti a scomodare una psicoanalista.