Bertold Brecht diceva “Ci sedemmo dalla parte del torto perchè tutti gli altri posti erano occupati”. Ecco, per indole e temperamento sarò sempre seduto sui banchi dell’opposizione. Perchè il potere è quasi sempre brutto, sporco e cattivo. Perchè, se fai parte della maggioranza, significa che hai accettato qualche compromesso. Perchè l’applauso facile ed il consenso unanime non m’interessano. M’interessa molto, invece, essere padrone di me stesso. Libero di pensare con la mia testa. Libero di di sbagliare. Libero di fare scelte anche impopolari. Libero di mandare a fanculo chi mi pare. No, non avrò mai paura di far parte di una minoranza. Perchè la minoranza guarda il mondo con gli occhi della coerenza.
Archivio dell'autore: Renato
A proposito di immigrazione…
Anche Gianni Morandi, l’uomo più innocuo del mondo, è finito nel tritacarne dei social network. Inevitabile, se ti affacci alla finestra per dire la tua sul tema immigrazione. Questione incandescente, che divide il Paese in due schieramenti. Da un lato i fautori della solidarietà e dell’accoglienza, disposti a tollerare (con qualche distinguo) le ondate di migranti. Dalla parte opposta i sostenitori del rigore (con qualche distinguo orientato al razzismo più becero) che respingerebbero senza esitazioni i tentativi di sbarco. Al netto di queste posizioni, spicca il solito cinismo della politica, capace di cavalcare la faccenda solo per i propri scopi elettorali.
Ma torniamo agli schieramenti: chi ha ragione? Giocando con le parole, si potrebbe dire che nessuno dei due ha torto. Non hanno torto coloro che stanno dalla parte di chi attraversa il Mediterraneo per sfuggire alla fame e alla violenza dell’Isis. Provate a mettervi nei loro panni: cosa fareste in quelle misere condizioni? Non cerchereste forse una via di scampo? D’altro canto, con un Paese in caduta libera – 8 milioni di italiani sotto la soglia di povertà e 18 milioni a rischio indigenza – non ha torto neppure chi auspica un giro di vite sull’immigrazione. Provate a mettervi nei loro panni. Un sacco di gente ha perso il lavoro, tanti imprenditori hanno dovuto chiudere le proprie aziende e, inoltre, le prospettive future sono tutt’altro che rosee.
Con queste premesse, tralasciando volutamente la psicosi per la possibile infiltrazione di cellule terroristiche, la forma di autodifesa è pienamente comprensibile. Qualcuno dice: sosteniamo economicamente i loro Paesi, così non si muoveranno più. Come no. Tanto ci sarà sempre un dittatore che, dopo aver intascato gli aiuti, si dileguerà nella notte. Altri dicono: la cosa non riguarda solo l’Italia, ma tutta l’Europa. Certo che si. Ma, essendo noi i più esposti alle “intemperie” dubito fortemente che gli altri Paesi potranno mai farsi carico della questione. Come vedete, da qualunque angolazione si affronti il problema, la soluzione sembra impossibile da trovare. Per una ragione molto banale: non c’è.
E’ semplicemente il Sud del mondo che preme sul vecchio continente per raccogliere almeno le briciole cadute dalle nostre tavole. E’ il flusso incontrollabile di diseredati, alimentato da un boom demografico senza precedenti, che chiede un occasione di riscatto sociale. Il fenomeno è inarrestabile come un fiume in piena. Dividersi sull’argomento non serve a nulla. Anzi, fa solo lo sporco gioco della politica.
Le parole che vorreste dirmi
Da martedì 21 Aprile sarà disponibile “Le parole che vorreste dirmi”, storie di cani e gatti che si raccontano in prima persona. E’ un libro a cui tengo molto, perchè mi ha fatto commuovere più volte mentre lo scrivevo. Sono convinto che gli animali, troppo spesso sottovalutati, abbiano molto da insegnarci. Il libro costa 10 euro più spese di spedizione. Chi volesse ordinarlo può scrivere una mail a edizioni@luoghinteriori.com
Il giorno 8 Maggio (data da confermare) “Le parole che vorreste dirmi” verrà presentato ufficialmente nel corso di una cena benefica. Ma di questo parleremo più avanti.
Su Facebook ho attivato la pagina ufficiale del libro, chi vuole può iscriversi cliccando sul link sotto.
https://www.facebook.com/#!/pages/Le-parole-che-vorreste-dirmi/898408700182535
La rivincita del gregario
Hans Georg Schwartzenbeck, detto Katsche, era un difensore dai piedi di marmo. Uno dei tanti gregari che affollano la storia del calcio. Rozzo ma terribilmente efficace in marcatura, si incollava al suo uomo per 90 minuti, mollandolo solo tre giorni dopo il triplice fischio finale dell’arbitro. Katsche rappresentava una sorta d’incubo per i telecronisti stranieri, che lo detestevano cordialmente per via di quel cognome impronunciabile. I tifosi del Bayern (la squadra a cui rimarrà fedele per tutta la carriera) avevano occhi e orecchie solo per Beckenbauer, Maier, Uli Hoeness e Gerd Müller. Nessuno parlava mai di Schwartzenbeck, che rimaneva nascosto nella penombra del campo. Lui forse ci soffriva o forse no. Ma, improvvisamente, la sera del 15 Maggio 1974, Katsche ebbe il suo momento di gloria.
L’Atletico Madrid era ormai ad un amen dalla Coppa dei Campioni e l’arbitro belga Loraux stava già portando il fischietto alla bocca per chiudere le ostilità. In quel momento, per qualche oscura ragione, la palla era sui piedi di Schwartzenbeck, che avanzò fino alla tre quarti spagnola e poi fece partire un bolide improvviso. La sfera di cuoio, per motivi che sfuggono alle leggi della ragione, entrò in rete e, visto che allora in finale non erano previsti i rigori, le due squadre furono costrette ad andare al replay. Forse Katsche tirò in porta per disperazione o magari, perché, a furia di giocare con il Kaiser, la sua scarsa autostima era finalmente aumentata. Non lo sapremo mai.
Sappiamo però che, senza quella rete provvidenziale, il Bayern non avrebbe vinto quell’edizione. E chissà, magari neppure quelle successive. La vita di Schwartzenbeck, invece, non cambiò affatto, restando eternamente aggrappata alla ringhiera delle comparse. Ma, da quel giorno, telecronisti e supporters avversari impararono almeno a pronunciare il suo nome.
Tratto dal mio libro “Coppa Campioni Story”. Curcio editore
Giornalismo d’inchiesta? No, grazie.
Sono orgoglioso di aver realizzato, insieme al regista Stefano Grossi, il film documentario su Calciopoli. Fossimo in un altro Paese, sarebbe già stato trasmesso in tv. Ma siamo in Italia, la nazione che ignora il giornalismo d’inchiesta. Del resto, stiamo parlando, di un posto che ha dato i natali a gente come Bruno Vespa, Giuliano Ferrara e Fabio Fazio. Il messaggio, condiviso da tutti i media (tranne qualche rarissima eccezione) è: vietato toccare i poteri forti.
Le parole che vorreste dirmi
“Le parole che vorreste dirmi” è un viaggio immaginario nel piccolo grande universo di cani e gatti. Il sottoscritto ha provato a dare voce e luce ai loro pensieri, dipingendo una serie di quadretti che si incastrano a fatica nel complicato puzzle del mondo. Cani e gatti non si limitano ad esprimere il loro punto di vista, ma ci dicono cosa siamo diventati e dove stiamo andando. La loro preziosa testimonianza, intinta nell’inchiostro del sentimento, colora la speranza, rendendo meno tortuosa la strada che conduce al futuro. Il libro, in vendita a 10 euro, uscirà entro Fine Aprile. Prenotalo adesso.
Prima del 2006…
Il campionato di Serie A, prima di Calciopoli, non era il migliore dei mondi possibili. Ma, con tutti i suoi difetti, era un signor campionato. C’erano squadre mediamente forti, in grado di competere anche in Europa. Guardatelo oggi, il “vostro” campionato: sono rimasti i vizi, è sparita la qualità. E, per la prima volta nella storia, una società fallisce a competizione in corso. Falsando ulteriormente un torneo già poco credibile di suo. La colpa non è solo di chi gestisce il carrozzone, ma anche di chi continua a seguire e tifare come se niente fosse successo.
La verità è che il calcio italiano è clinicamente morto nel 2006. Prima lo capiranno lor signori (dirigenti, tifosi, addetti ai lavori), meglio sarà per quelli che dovranno ricostruire partendo dalle macerie.
Per voi
Per voi
che siete chiusi in un Palazzo inaccessibile
che sapete difendere solo i vostri privilegi
e gli amici degli amici…
Per voi
che avete azzerato i sogni di milioni di persone
che desideravano solo vivere in un Paese libero
un Paese civile e veramente democratico
Per voi
che avete mandato allo sbaraglio magistrati e poliziotti
gente che ha pagato con la vita
l’amore per la legalità e per questa terra desolata.
Per voi
che avete lacerato e diviso questo Paese
che avete spento il futuro dei nostri ragazzi
togliendo loro anche la speranza.
Per voi io non provo disprezzo
e nemmeno odio
solo pena e commiserazione.
Vorrei possedere il dono dell’ubiquità
per essere in tutti i posti dove parlate
per smascherare le vostre bugie
e la vostra incoerenza.
Vorrei che ogni vostro discorso
fosse seppellito da una risata.
Perchè forse lo sberleffo è l’unica cosa
che vi fa davvero paura.
Scritta nel Luglio del 2007
Non è un Paese per giovani
Non è un Paese per giovani, già si sapeva. E mai lo sarà. Perchè, ogni segmento della vita pubblica, è dominato da vecchi (se non bacucchi) che non vogliono abbandonare il palcoscenico. Succede nella politica, nell’economia, nello spettacolo e anche nel calcio.
Ma perchè uscire di scena è così difficile? Eppure compiere il “beau geste” sarebbe un atto di nobiltà verso le nuove generazioni, ormai stanche di aspettare il loro turno. Per dirne una (ma è solo un esempio), l’età minima per diventare Presidente della Repubblica, è il raggiungimento dei 50 anni. Nonostante questo, Giorgio Napolitano si è insediato al Quirinale alla veneranda età di 81 anni, mentre il suo successore, Sergio Mattarella, ne ha raccolto il testimone alla rispettabile età di 74.
Non è un Paese per giovani, già si sapeva. Ma c’è chi giustifica l’andazzo con la patetica scusa “i vecchi hanno il dono della saggezza”. Falso. Perchè se uno è idiota a vent’anni, state sicuri che, col tempo, potrà solo peggiorare.
Gimme five
Sulla ruota della Coppa Campioni/Champions League, la cinquina è uscita solo una dozzina di volte. Il primo a riuscire nell’impresa fu Sven Ove Ohlsson, punta del Göteborg. Accadde il 19 Settembre 1959, nel 6-1 inflitto dagli svedesi ai nordirlandesi del Linfield.
Due anni dopo, fu il turno di un altro attaccante scandinavo, Bent Løfqvist (B1913) che raggiunse il podio di bomber in quell’edizione (sia pure a pari merito) sparando tutte le sue cartucce nelle due partite contro i lussemburghesi dello Spora.
Nel 1962 toccò al brasiliano Josè Altafini e all’inglese Ray Crawford. Il primo prese di mira un’altra squadra lussemburghese, l’Union, il secondo diventò l’incubo dei maltesi dell’Hibernians.
Negli anni sessanta ci furono altre 3 iscrizioni all’albo del 5. Dal bulgaro Nikola Kotkov, che prese a “pallonate” il portiere del Malmoe, al leggendario centravanti ungherese Florian Albert, Pallone d’Oro del 1967, che sbeffeggiò i teneri islandesi del Keflavik. Il decennio fu chiuso dal regale Paul Van Himst, uno dei migliori calciatori europei dell’epoca, che anestetizzò la retroguardia dell’Haka Valkeakoski.
Negli anni settanta gli exploit realizzativi furono 3. A cominciare dal cannoniere per eccellenza, ovvero il tedesco Gerd Müller, performance ottenuta nel 1972, contro i ciprioti dell’Omonia. Sei anni più tardi, il centravanti del Bayern fu emulato dallo svizzero Claudio Sulser, altro satanasso dell’area di rigore, che non ebbe soverchie difficoltà a perforare l’insulsa difesa della Valletta.
Nel 1979, ecco il decimo della lista: Soren Lerby, danese dell’Ajax e primatista del goal di quell’edizione. Nei panni di agnello sacrificale il solito Omonia Nicosia. Dopo qualche stagione di black out, arriviamo al 1999, con l’acuto di Mikhail Mikholap, attaccante lettone dello Skonto Riga che, nei preliminari della competizione, rifila 5 sberle al malcapitato portiere del Jeunesse D’Esch.
Poi le difese prendono le adeguate contromisure e le goleade diminuiscono. Per ritrovare il penta-goleador ci voleva proprio lui, Lionel Messi, l’unico ad aver siglato una cinquina contro una squadra (Bayer Leverkusen) non catalogabile alla voce materasso.
Tratto dal mio libro “Coppa Campioni story” Curcio editore