Incapaci di successo (2).

INCAPACI DI SUCCESSO NEL CALCIO

Stendendo un velo, più o meno pietoso, su Tavecchio, Beretta ed i tanti dirigenti – sempre gli stessi – che stanno al football come Rosanna Fratello sta alla musica, proviamo a scovare i casi più clamorosi di incapaci di successo. Ovviamente fuori classifica Cassano e Balotelli, meno colpevoli di chi ha avuto l’acume di metterli sul piedistallo.

5) Mattia Destro. Ha più tatuaggi che goal all’attivo. Eppure, come Figaro, tutti lo vogliono e tutti lo cercano. Anche una fortissima squadra spagnola. Che però vorrebbe ingaggiarlo giustamente come barbiere. Di Siviglia.

4) Riccardo Montolivo. Passa ancora per giovane promessa, anche se è quasi coetaneo di Pippo Baudo. La sua regia illuminata è una garanzia: per gli avversari del Milan. Ultimamente passa più tempo in infermeria che in campo: l’altro giorno si è infortunato giocando alla Play Station con Abate.

3) Andrea Stramaccioni. L’Udinese gli ha appena intitolato una strada: via Stramaccioni. Lui non ha fatto una piega, trovando subito lavoro a Fox Sports. Come soprammobile. Quando spiega con aria professorale il suo 3-5-2, anche i gondolieri di Venezia cambiano canale.

2) Claudio Ranieri. Il principio per cui qualsiasi cosa possa andare male lo farà, – meglio conosciuto come Legge di Murphy – è ispirato alla carriera del noto allenatore (?) romano. Una sciagura vivente. Gli danno in mano una Mercedes e lui la trasforma in una Multipla. Gli danno in mano una Multipla e lui la trasforma in un’Octavia. Come il piazzamento che ottiene in classifica. Quando va bene.

1) Zdenek Zeman. Primo posto inevitabile come il plastico di Bruno Vespa. Ormai, per avere qualche punto, deve recarsi al pronto soccorso. I suoi estimatori, un tempo numerosi, sono spariti dalla circolazione come i soldi di Cecchi Gori. Naturalmente i presidenti che hanno esonerato Zeman avrebbero tenuto il boemo a vita nonostante i disastri combinati in panchina. Se è stato invece licenziato in dieci occasioni, la colpa è solo di Luciano Moggi, l’uomo che ha impedito a Zeman di seguire le orme di Rinus Michels e Sir Alex Ferguson. Intanto si profila all’orizzonte l’undicesimo tonfo, con la canzone di Ivan Graziani (Lugano addio) che impazza su Youtube.

Incapaci di successo (1)

Incapaci di successo (1).

Qualcuno li definisce sopravvalutati, io preferisco chiamarli incapaci di successo. Sono quei personaggi che, pur avendo meno talento di Jimmy il fenomeno, sono comunque riusciti a costruirsi un’immagine sfruttando le zone d’ombra di un Paese che ha sempre rinnegato la meritocrazia. Raccomandazioni e agganci politici aiutano a superare la linea dell’anonimato, ma non bastano a spiegare certe carriere. Probabilmente c’è dell’altro. Tipo la disinformazione di una larga parte dell’opinione pubblica, facilmente addomesticabile e condizionabile dai peggiori media del mondo. Quelli che non possono rivolgere una critica a Sky (per citare un’azienda a caso) solo perché l’emittente satellitare inonda di pubblicità giornali e tv. In questi giorni, prendendo spunto da una discutibilissima classifica stilata dal Telegraph, quotidiano inglese, anche il Fatto Quotidiano ha cavalcato l’argomento, trascurando colpevolmente qualche nome. Ad esempio, non abbiamo visto nella lista l’icona del nulla, più conosciuta come Ilaria D’Amico. E allora, spinto da un irrefrenabile desiderio di giustizia, ho pensato di compilare una mia personalissima graduatoria dividendo gli incapaci di successo in quattro precise categorie: politica, calcio, televisione e musica.

Ovviamente, dato che l’Italia abbonda di incapaci di successo, sarà mia premura segnalare i casi più eclatanti in ciascun settore. Cominciamo dalla politica.

INCAPACI DI SUCCESSO DELLA POLITICA

Tralasciamo le macchiette come Razzi e la Santanchè, la vasta schiera di pregiudicati a piede libero, e concentriamoci sui veri disastri.

5) Maurizio Gasparri. Ha lo stesso appeal di una mosca tse tse e la competenza politica di Sandy Marton. Anzi, quest’ultimo avrebbe senz’altro scritto una legge migliore in materia di assetto del sistema radiotelevisivo.

4) Laura Boldrini. Ha sempre quell’espressione solenne da maggiordomo inglese di Buckingham Palace che distribuisce ordini perentori a sguatteri e domestiche. Simpatica come Meryl Streep nel “Il diavolo veste Prada”, è così illuminata politicamente da credere ancora alle quote rosa.

3) Angelino Alfano. Come ministro dell’Interno ha fatto molto. Per il Kazakistan. Meno carismatico di Paolo Mengoli, ha con la politica lo stesso rapporto che Bruno Pizzul intrattiene con la fotosintesi anossigenica.

2) Matteo Renzi, sinonimo di Silvio Berlusconi. L’amico di Mubarak gli ha fatto fare le ossa nelle reti Mediaset, indicandogli la strada giusta per farsi largo in Italia: spararle grosse. Evitando accuratamente di far seguire i fatti alle parole. L’allievo ha poi superato abbondantemente il maestro, non solo nelle panzane. Vedere alla voce “qualità delle persone che compongono la squadra di sgoverno”.

1) Giorgio Napolitano. Bertolt Brecht diceva “Sventurata la terra che ha bisogno di eroi”. Noi diciamo sventurato il Paese che si fa dettare l’agenda da un novantenne che non ha voluto dirci la verità sulla trattativa Stato-Mafia. Dopo aver addormentato due generazioni di italiani con i suoi discorsi di fine anno, l’incapace di successo numero uno continua a pontificare dal basso della sua statura morale.

L’uomo del Maracanazo

Alcides Eduardo Ghiggia, l’uomo che entrò nella leggenda del calcio dalla porta di servizio. Accadde un pomeriggio d’estate di 64 anni fa, nel monumentale Maracanã di Rio de Janeiro, di fronte a 173 mila testimoni. Increduli. Perché il copione di quella giornata era già scritto da tempo: il formidabile Brasile di Flavio Costa doveva vincere il “suo” Mondiale. Ma la piccola ala destra uruguaiana trovò il modo di mandare all’aria la scaletta, prima servendo a Schiaffino la palla del pareggio. E poi infilando personalmente in rete il pallone che fece piangere il Maracanã. Un goal che rischiò di interrompere la carriera di Ghiggia, uscito malconcio da un incontro ravvicinato con alcuni supporters brasiliani, inviperiti per la sconfitta. Lo spiacevole episodio costò un lungo periodo di convalescenza all’attaccante del Peñarol, costretto a saltare quasi tutta la stagione successiva.
Carattere estroso e fumantino, Ghiggia non si distingueva solo per i dribblings e le finte: una volta, vistosi annullare un goal, non trovò niente di meglio che aggredire l’arbitro, responsabile di lesa maestà, beccandosi 8 mesi di squalifica. Altro stop forzato e tanto tempo per pensare ad altro. Tipo un trasferimento in Europa.
L’offerta giusta arrivò da Roma, sponda giallorossa. Ghiggia si ambientò in fretta, trascorrendo ben otto anni nella Capitale. Naturalizzato italiano, giocò anche come oriundo nella nostra Nazionale, senza molta fortuna. Prima di fare ritorno in patria, disputò una stagione nelle file del Milan. Poche apparizioni, ma uno scudetto da aggiungere al suo palmarès personale. L’uomo che fece piangere il Maracanã ha compiuto da poco 88 anni. Periodicamente, aggrappato alla ringhiera dei ricordi, ascolta la registrazione radiofonica del suo goal più famoso. E, ogni volta, si commuove.

Tratto dal libro “World Cup Story, Curcio editore
Ghiggia è morto ieri, nel 65° anniversario del Maracanazo, all’età di 89 anni.

Sky, di tutto e sempre meno…

Quindi, secondo Sky, la Serie B delle partite comprate e l’Europa League dei comprimari valgono come la Champions League. Probabilmente considerano i loro clienti degli idioti, visto che a me (e credo a tantissimi altri) della Serie B e dell’Europa League non frega una cippa. Veramente io pagavo l’abbonamento per godermi l’ex Coppa dei Campioni e magari anche la Liga e la Ligue 1. Come dite? Non avete più neanche quelle? Beh, allora dovreste avere almeno l’onestà di abbassare il costo dell’abbonamento. Perchè io mi sono abbonato per vedere Messi e Cristiano Ronaldo, non Caressa.

Il grande imbroglio dell’euro

L’euro è stato un grande imbroglio. Ha arricchito solo banchieri, burocrati, speculatori, multinazionali e grandi catene alimentari, azzerando la classe media e mandando definitivamente sul lastrico chi già faceva fatica a sbarcare il lunario. Il popolo greco ha la grande occasione di mandare all’aria i piani della Germania, il Paese che si è servito della moneta unica per imporre le sue condizioni. Fossi un cittadino ellenico voterei no al referendum. Perchè il no farebbe molto più rumore del si, costringendo questa Europa nata male e cresciuta peggio, a farsi un esame di coscienza. E ricordiamoci sempre che i greci hanno inventato la civiltà.

Il secondo triplete sopra Berlino

Tre considerazioni sulla finale di Berlino. 1. Il Barcellona, per cultura sportiva e filosofia di gioco, meritava di essere la prima squadra europea a festeggiare il secondo triplete della sua storia. Anche ieri, pur non giocando la sua migliore partita, poteva chiudere il match già nel primo tempo. Poi, nella ripresa, ha avuto 5 minuti di sbandamento non sfruttati dalla Juve 20062015. Che, proprio nel momento culminante della stagione, ha denunciato tutti i suoi limiti.

2. Se fossi un tifoso della Juve 2006/2015 non m’illuderei troppo per il futuro. La finale è stata raggiunta in maniera episodica: qualificazione col brivido nel girone, avversari abbordabili negli ottavi e nei quarti, con qualche vantaggio arbitrale col Monaco, e un Real Madrid con un Ronaldo ai minimi stagionali nelle semifinali. Sono pronto a scommettere che, il prossimo anno, questa squadra farà fatica a raggiungere i quarti.

3. Io ho i miei buoni motivi per dissociarmi dalla Juve 2006/2015, ma non posso fare a meno di provare pena per gli antijuventini in attività di servizio. Costoro, invece di prendersela con i propri dirigenti, che hanno permesso alla Juve 2006/2015 di fare il bello ed il cattivo tempo in Italia, non trovano niente di meglio che mettersi sul divano a gufare. Complimenti: bisognerebbe studiarvi in laboratorio!

P.S – Per settimane intere Sky ha proposto il ritornello: la Juve ha il vantaggio di avere un uomo in più in mezzo al campo. L’ineffabile Caressa, che capisce di calcio meno di Pippo Franco e Olivia Newton John, ignorava che i due terzini del Barcellona, sempre propositivi, sono come due centrocampisti aggiunti. Tanto, in Italia, se sei incompetente, ti nominano direttore.

Gerontocrazia

Nel mondo domina ed imperversa una generazione venuta alla luce tra gli anni venti e gli anni quaranta. E’ una gerontocrazia corrotta e senza scrupoli, disposta a tutto pur di conservare il comando. Vecchi bacucchi che ingombrano la scena da diversi lustri nella politica, nell’economia, nell’informazione, nella televisione, nello sport ed in tutti i settori strategici della vita pubblica. Babbioni vanitosi, irascibili e bugiardi. Impossibile scalzarli dalla poltrona: per loro il potere è tutto.
Dicono che la vecchiaia porti saggezza. Non è vero: spesso si limita ad accentuare i nostri difetti. Perchè pochi hanno la moralità di Nelson Mandela e Josè Mujica. Inoltre, il mancato ricambio, è un ostacolo alla crescita, allo sviluppo, all’innovazione.

Recensione “Le parole che vorreste dirmi”

Frequento Renato La Monica da alcuni anni.

Ci siamo conosciuti scambiandoci i nostri libri, argomento monotematico, la Juventus.

Abbiamo pure scritto un libro insieme, stesso tema, sempre quello.

In seguito, i nostri interessi sono cambiati: io ho iniziato a uccidere virtualmente un po’ di persone, facendo scovare i colpevoli a un avvocato di provincia, disincantato ma ancora tenacemente convinto di poter riscuotere dalle persone un po’ di calore umano, specialmente se si tratta di persone di sesso femminile.

Renato, invece, nei suoi libri fa “parlare” gli animali, esseri ritenuti, non a torto, superiori agli umani.

Almeno, a certi umani, mirabilmente tratteggiati nei loro atteggiamenti più meschini, privi di solidarietà fra di loro, ma anche nei confronti dei nostri amici a quattro zampe.

Il disinteresse dell’uomo verso i quadrupedi è spesso presentato come una caratteristica irrinunciabile, autentico marchio di fabbrica del bipede medio, ottuso al di là di ogni ragionevole dubbio.

Ma l’animale sa accontentarsi di poco: una carezza, una coccola di cibo, un giardino nel quale essere lasciato in pace.

E per fortuna, sullo sfondo, compaiono anche persone che gli animali sanno amarli e rispettarli.

Renato, come dicevo, fa parlare e pensare i cani e i gatti di questo libro, esprimendo attraverso le loro parole un pensiero sul triste tempo nel quale ci tocca vivere.

L’opportunità è ghiotta e l’autore non perde certo l’occasione per osservare il mondo attraverso gli occhi di un felino o di un cane.

I giudizi sono taglienti, ma sempre rigorosi, precisi.

Renato ha il raro dono di modellare le parole con una maestria ormai difficile da riscontrare alle nostre latitudini.

I cani e i gatti di questo libro sono colti, citano José Revueltas, Benjamin Franklin, Bill Shankly, Albert Bruce Sabin e tanti altri, scrivono bellissime poesie e sanno donare solidarietà ai propri simili.

Insomma, immergendosi in questo volumetto prezioso, è finanche possibile prendere atto, per qualche lungo istante, di come il mondo non sia poi così brutto.

Mauro Sangiorgi (scrittore e avvocato)

L’addio di Gerrard

L’esistenza di Steven Gerrard è rimasta profondamente segnata dalla scomparsa del cugino Jon-Paul Gilhooley, una delle 96 vittime della strage di Hillsborough, avvenuta il 15 Aprile 1989. All’epoca, Gerrard, un anno più giovane di Jon-Paul, era già entrato nell’academy della sua squadra del cuore: il Liverpool.

Fu il tecnico francese Gerard Houllier a portarlo in prima squadra, facendolo debuttare in Premier League a fine novembre 1998. Da quel momento, nonostante diversi infortuni, Steven non ha più mollato la presa, fino a diventare capitano ed uomo simbolo dei reds. Una fedeltà messa a dura prova nel 2005 dalle insistenti avances del Chelsea di Roman Abramovich, disposto a spendere cifre iperboliche pur di assicurarsi i servigi del centrocampista. Proposte respinte soprattutto per la ferma opposizione del padre di Gerrard, acceso sostenitore dei reds. Con quel rifiuto Steven si è guadagnato l’amore eterno dei tifosi del Liverpool che, in un recente sondaggio, l’hanno posizionato al secondo posto (dietro Dalglish) nella classifica dei calciatori più amati di tutti i tempi.

In fondo qualche soddisfazione è arrivata anche con i reds, tra cui spicca la Coppa Campioni vinta nel 2005 ad Istanbul. Nella sua autobiografia, uscita nel 2006, Gerrard ha voluto ricordare il cugino con la toccante dedica “Io gioco per Jon-Paul”.

Tratto dal mio libro “Coppa Campioni Story”, Curcio editore.

Ps: ieri pomeriggio, dopo 17 anni, 709 partite ufficiali e 184 reti, Steven ha salutato per l’ultima volta il pubblico di Anfield. Un addio che strappa al calcio una delle sue ultime, scintillanti, bandiere.

La sinistra…

La sinistra – ditelo a Vendola e Berlusconi – è morta con Enrico Berlinguer. Ma anche se la sinistra, intesa come rappresentanza politica, non esiste più, ci sono ancora tante persone di sinistra. Persone che non hanno smesso di sognare un pianeta più equo e solidale, dove tutti possano avere un’opportunità. Un mondo più sobrio, che abbia un occhio di riguardo per le fasce sociali più deboli. Un mondo pieno di cultura e senza guerre inutili. Un mondo a misura d’uomo, dove i ricchi non siano ricchi da fare schifo e i poveri abbiano almeno lo stretto necessario per vivere dignitosamente.