I miei eroi

I miei eroi siete voi. Voi che vi alzate alle sei del mattino, sole, pioggia o neve non fa differenza, per portare un po’ di cibo e affetto ai gatti randagi.

I miei eroi siete voi. Voi che, pur avendo poco o niente, siete sempre in prima linea ad aiutare chi sta peggio.

I miei eroi siete voi. Voi che stazionate nella penombra della sobrietà e parlate poco, perché avreste miliardi di cose da dire.

I miei eroi siete voi. Voi che regalate tempo, sorrisi e carezze ai malati.

I miei eroi siete voi. Voi che piangete in silenzio per non farvi sentire da un mondo sempre più finto e corrotto.

I miei eroi siete voi. Voi che avete lavorato una vita e ancora non sapete se vi daranno la pensione. I miei eroi siete voi. Voi che ancora vivete aggrappati alle nuvole, prigionieri di un sogno ormai sgretolato dalla realtà.

I miei eroi siete voi. Voi che avete perso tutto alla grande roulette della vita, eppure continuate a combattere indomiti.

Si, siete voi i miei eroi. E quelli come voi. Ma io, purtroppo, non ho nulla da offrirvi. Solo queste umide, sentite, parole.

Sopravvivere al Natale

La domanda delle cento pistole è: sopravviveremo anche a questo Natale? Con le sue ipocrisie, con il cibo che straborda dalla tavola, i regali riciclati, la bontà artefatta, i parenti che ti dicono “ti vedo ingrassato” anche se, in realtà, hai perso 7 chili. Ai parenti, sempre loro, che ti invitano a giocare o tombola, oppure al Mercante in Fiera. E, se non lo fai, ti costringono fisicamente, legandoti alla sedia. Ai bambini di famiglia, aggregati per l’occasione, che corrono e urlano per tutto il tempo delle feste facendoti rimpiangere Erode. Al nonno che, ogni 15 minuti, fa partire il cd con i canti natalizi alternandolo (per sbaglio) a quello dei cori di montagna degli alpini. Sopravviveremo anche quest’anno? Ai post it l’ardua sentenza.

Il bicchiere

Anche oggi ho shakerato il mio cocktail di dubbi e pensieri. Qualcuno dice che il bicchiere è mezzo vuoto, altri dicono che è mezzo pieno. Io, invece, dico che il bicchiere è ormai andato frantumi. Come la vita di chi sognava un Paese migliore.

Il destino

Sono nato sotto il segno dello scorpione, perché così ha voluto il destino. E il destino, lo sappiamo, sa calcolare molto bene le sue traiettorie.

Sono nato sotto il segno dello scorpione come Voltaire, padre dell’illuminismo. Sono nato sotto il segno dello scorpione come Pelè, il fuoriclasse che ha cambiato la storia del calcio. Sono nato sotto il segno dello scorpione come Neil Young, il cantautore canadese che ha regalato al mondo una manciata di canzoni immortali.

Sono nato sotto il segno dello scorpione come Gerhard Müller, il più grande bomber di tutti i tempi. Sono nato sotto il segno dello scorpione come José Saramago, uno scrittore che ha fatto sognare e riflettere milioni di persone. Sono nato sotto il segno dello scorpione come la Juventus, la squadra che mi ha fatto battere il cuore fin da bambino e che dal 2006 non mi “appartiene” più. Sono nato sotto il segno dello scorpione come Alessandro Del Piero, l’uomo che ha collezionato più presenze e reti con la maglia bianconera. Sono nato sotto il segno dello scorpione come la giornata del gatto nero, iniziativa che serve a demolire superstizioni demenziali.

E’ stato quindi il destino ad aprire la mia mente, a farmi amare svisceratamente il calcio, a farmi apprezzare la “vera” musica, quella che genera pathos, favorendo la creatività. E’ stato il destino a condurmi nei boulevard della scrittura, passione purissima, che accende la mia esistenza. E’ stato il destino a farmi “dipendere” dai gatti. E oggi voglio proprio ringraziarlo. Il destino.

Valentino Rossi e i veri campioni…

Nel mio Pantheon virtuale c’è posto solo per Nelson Mandela, Martin Luther King, Gandhi, Albert Sabin, Alan Turing, Tim Berners-Lee, Cristiaan Barnard, Albert Einstein, Sandro Pertini e pochissimi altri. Persone che hanno migliorato il mondo, rendendolo un po’ meno squallido.

Con questi presupposti, non posso che pretendere tanto anche dai personaggi che affollano il mondo dello sport. Perché un campione, per quanto mi riguarda, deve esse tale anche nella vita. Come l’immenso Gaetano Scirea. Come Gigi Riva, che proprio in questi giorni ha compiuto 71 anni. Come Andrès Iniesta. Come Jimmy McGrory, l’uomo che ha rinunciato alla ricchezza per amore del suo Celtic. E come Dino Zoff che, regalandomi la prefazione del mio ultimo libro, mi ha dato la gioia più grande della mia vita professionale.

Perché i veri campioni sanno distinguersi per stile, fair play e semplicità anche nella vita di tutti i giorni. Perché i veri campioni non hanno bisogno di troppe parole per manifestare il proprio carisma. Perché i veri campioni sanno vincere con classe e perdere con dignità. Perché i veri campioni rispettano le regole anche fuori dal campo. Che volete farci? E’ una questione di carattere: siccome pretendo parecchio da me stesso, mi aspetto molto anche da chi è stato gratificato da madre natura. Per questo e altri motivi non riesco a comprendere la mitizzazione di Valentino Rossi, un grande sulla pista, certo. Ma solo un furbo e arrogante mestierante nella vita di tutti i giorni. Uno che non sa vincere con classe e che accampa mille scuse quando perde. Proprio come Renzi.

I nostri “amici” di Facebook

I nostri amici di Facebook si dividono in 5 precise categorie.

1. Gli estimatori. Quelli che partecipano a quasi tutti i nostri post, cliccando mi piace e inserendo commenti. Queste persone ci stimano a tal punto che, per rispetto, fanno finta di niente quando scriviamo qualche stronzata.

2. I curiosi. Quelli che leggono tutto quello che scriviamo ma, chissà perchè, non intervengono mai. Perchè forse considerano troppo confidenziale mettere un mi piace sulla nostra bacheca.

3. I professori. Quelli che osservano e scrutano i nostri post con sguardo severo, sperando di cogliere errori grammaticali o gaffes alla Mike Bongiorno. Alla prima occasione eccoli pronti a intervenire, usando la classica matita rossa della maestrina.

4. I multimediali. Quelli che commentano o mettono mi piace solo se postiamo video o foto. Non importa se il soggetto ripreso ha la stessa avvenenza di Alvaro Vitali o la figlia di Fantozzi, il classico “bello/a” è già pronto. Come il plastico di Cogne.

5. I dormienti. Sono le persone che si sono iscritte a Facebook dopo aver fatto una seduta spiritica con Prodi. Ci hanno chiesto l’amicizia e poi sono sparite come le rughe di Barbara Bouchet. Stazionano lì, nella lista dei nostri amici, inutili come i programmi di Marzullo. Meglio allertare la Sciarelli.

In memoria di Jimmy Johnstone

Il folletto scozzese, simbolo del Celtic, se n’è andato un giorno di Marzo del 2006, piegato da una malattia che ha colpito diversi calciatori, la SLA. In quei 157 centimetri di classe, velocità e vigore, era racchiuso lo spirito del Celtic, la squadra cattolica di Glasgow, protagonista di due finali di Coppa Campioni e dotata di una divisa unforgettable. Quella maglia a strisce orizzontali bianco-verdi, è stata la seconda pelle di Jimmy, che con il club scozzese ha messo insieme 515 presenze complessive, impreziosite da 138 reti. Arrivato nel settore giovanile del Celtic a 17 anni, proveniente da una piccola città del South Lanarkshire, il destino di Jimmy si incrociò con quello di Jock Stein, il tecnico che avrebbe portato i Bhoys sul tetto d’Europa. Johnstone fu uno degli elementi imprescindibili di quella squadra, interamente composta da calciatori provenienti dal vivaio: due soli goal in quella edizione della Coppa, ma una selva di assists per i compagni. Meno corposo il suo contributo alla nazionale scozzese, con il Mondiale del 1974 vissuto solo nei panni di turista.
Tratto dal libro “Coppa Campioni Story”, Curcio editore

Incapaci di successo (3).

INCAPACI DI SUCCESSO IN TELEVISIONE

La tv generalista italiana, più deprimente di un film dei fratelli Vanzina, è altamente consigliata alle persone che soffrono di stitichezza. Trovare un programma guardabile equivale a vincere alla lotteria senza comprare il biglietto. Pertanto ci sembra giusto dare un suggerimento agli anziani che ancora si ostinano a guardarla: molto meglio seguire i lavori stradali. Perché almeno nei cantieri non c’è la pubblicità. Fuori classifica per motivi di pura decenza Mario De Filippi e Maurizia Costanzo, i maggiori responsabili di un degrado che non conosce Limiti. E nemmeno Antonio Ricci. Ma ecco la nostra top five.

5) Alba Parietti/Valeria Marini. Non sanno cantare, non sanno recitare, non sanno ballare, hanno una cultura da Scuola Radio Elettra e se la tirano come e più di Mourinho. Tutte qualità molto apprezzate nel mondo capovolto della tv italiana. Qualcuno maligna che le due presunte soubrette abbiano perso molti soldi al Casinò. Poi si sono rifatte.

4) Amadeus/Carlo Conti/Fabrizio Frizzi. Una volta c’era Mike Bongiorno, l’unico che riusciva a dare un senso al quiz. Adesso ci sono Carlo Conti, Fabrizio Frizzi e Amadeus, tre tizi che, in un Paese serio, al massimo potrebbero presentare le loro scuse ai telespettatori. Messi insieme non riescono ad eguagliare il carisma di Scilipoti. Proprio per questo fanno da traino al tg1. Tra l’altro è difficile distinguerli. Siamo sicuri che non siano la stessa persona?

3) Fabio Caressa. Le sue telecronache ansiogene abbinate a quell’aria da nerd di borgata, hanno convinto molti fanatici del calcio a spostare il loro interesse verso il curling. Racconta la partita come fosse un radiocronista, dimenticando un piccolo particolare: le duemila telecamere presenti sul campo consentono allo spettatore, mediamente più competente di lui, di vedere anche i replay dei peli superflui di Quagliarella e Biondini. In un altro Paese, uno così sarebbe stato obbligato a nascondersi dentro le sopracciglia di Bergomi, invece l’hanno promosso direttore di Sky Sport. Come se qualcuno invitasse Valerio Scanu al festival di Woodstock.

2) Barbara D’Urso. I suoi programmi sono molto richiesti. A Guantanamo. E’ la signora delle lacrime pomeridiane. Prefabbricate. E delle interviste in ginocchio a Renzusconi, il mostro politico che ha portato l’astensionismo al 50%. E’ la degna espressione di un Paese che rimpiange ancora Wilma Goich, Toto Cutugno e Alvaro Vitali.

1) Ilaria D’Amico. Non capisce nulla di calcio, non sa parlare, pone agli ospiti domande meno ficcanti di un discorso di Luca Giurato, eppure è riuscita a ritagliarsi un posto da protagonista nella tv satellitare. Perché in Italia la bella presenza conta mille volte più della competenza. L’abbiamo messa al primo posto perché, rispetto alla D’Urso, gode di buona, anzi buonissima stampa. Meno male che l’amico del tabaccaio ha provveduto a metterla incinta. Dando l’opportunità alla simpatica signora di svolgere il lavoro che le riesce meglio: fare la compagna di Buffon.