Non capita tutti i giorni – eufemismo – di segnare una tripletta al Brasile. Non capita tutti i giorni – eufemismo – di diventare il simbolo della Nazionale più amata di sempre. Una squadra composta da grandi calciatori e, soprattutto, grandi uomini. Una Nazionale pilotata al successo, contro ogni pronostico, da una persona meravigliosa come Enzo Bearzot. L’unico a credere in lui, Paolo Rossi, reduce dallo scandalo del calcio scommesse, fino al punto di aggregarlo alla spedizione spagnola nonostante l’ostracismo dei media. Non solo convocato, ma anche difeso a spada tratta dopo le deludenti prestazioni del girone eliminatorio. Una fiducia che Pablito ha saputo ricambiare, firmando le sei reti che hanno garantito agli azzurri il terzo titolo mondiale. Era l’Italia di Pertini, il miglior presidente della storia della Repubblica e un gigante della politica. Un uomo che non rimpiangeremo mai abbastanza. Erano gli anni ottanta, baby. Gli anni di Paolo Rossi, il centravanti per antonomasia, che segnava con la stessa naturalezza con cui respirava. Paolo Rossi, il ragazzo della porta accanto e il campione semplice e silenzioso. Paolo Rossi, figlio di un tempo più leggero e viso che rimarrà per sempre impresso nei vasti corridoi della memoria. Erano gli anni ottanta, baby. Gli anni di Paolo Rossi. Anni lievi ma felici, come le sue esultanze. No, Pablito non è morto. E’ solo andato negli spogliatoi per l’intervallo.
Gli anni di Paolo Rossi…
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