Alcides Eduardo Ghiggia, l’uomo che entrò nella leggenda del calcio dalla porta di servizio. Accadde un pomeriggio d’estate di 64 anni fa, nel monumentale Maracanã di Rio de Janeiro, di fronte a 173 mila testimoni. Increduli. Perché il copione di quella giornata era già scritto da tempo: il formidabile Brasile di Flavio Costa doveva vincere il “suo” Mondiale. Ma la piccola ala destra uruguaiana trovò il modo di mandare all’aria la scaletta, prima servendo a Schiaffino la palla del pareggio. E poi infilando personalmente in rete il pallone che fece piangere il Maracanã. Un goal che rischiò di interrompere la carriera di Ghiggia, uscito malconcio da un incontro ravvicinato con alcuni supporters brasiliani, inviperiti per la sconfitta. Lo spiacevole episodio costò un lungo periodo di convalescenza all’attaccante del Peñarol, costretto a saltare quasi tutta la stagione successiva.
Carattere estroso e fumantino, Ghiggia non si distingueva solo per i dribblings e le finte: una volta, vistosi annullare un goal, non trovò niente di meglio che aggredire l’arbitro, responsabile di lesa maestà, beccandosi 8 mesi di squalifica. Altro stop forzato e tanto tempo per pensare ad altro. Tipo un trasferimento in Europa.
L’offerta giusta arrivò da Roma, sponda giallorossa. Ghiggia si ambientò in fretta, trascorrendo ben otto anni nella Capitale. Naturalizzato italiano, giocò anche come oriundo nella nostra Nazionale, senza molta fortuna. Prima di fare ritorno in patria, disputò una stagione nelle file del Milan. Poche apparizioni, ma uno scudetto da aggiungere al suo palmarès personale. L’uomo che fece piangere il Maracanã ha compiuto da poco 88 anni. Periodicamente, aggrappato alla ringhiera dei ricordi, ascolta la registrazione radiofonica del suo goal più famoso. E, ogni volta, si commuove.
Tratto dal libro “World Cup Story, Curcio editore
Ghiggia è morto ieri, nel 65° anniversario del Maracanazo, all’età di 89 anni.