Josè, por què?

Un tempo, diciamo fino al secondo anno di panchina al Chelsea, Josè Mourinho non mi dispiaceva affatto. Vuoi per la sua storia personale – una sberla in faccia ai luoghi comuni del calcio – vuoi per quel suo approccio diretto, ruvido e scostante. Tipico di chi vuole distinguersi dal gruppo. Tutto il contrario dei mille tecnici leccaculo che infestano il mondo del pallone. Ma gli uomini si conoscono soprattutto nel momento della sconfitta. E il portoghese, alle prime batoste, si è palesato in tutto il suo squallore. Scarso rispetto per avversari e direttori di gara, “eccesso” di agonismo trasmesso ai propri giocatori e zero sportività. Atteggiamenti caratteriali che in realtà mirano a nascondere la pochezza tattica del lusitano, abile solo come motivatore e fin troppo furbo nel “caricare” a suo favore gli eventi. Le dichiarazioni di ieri sera, dopo l’ennesimo Barca-Real («Impossibile vincere al Camp Nou»), non aggiungono nulla al personaggio, ormai definitivamente uscito dai labirinti del buon senso.  «Impossibile vincere al Camp Nou». Eppure l’Hercules, che oggi gioca in Segunda, nel settembre del 2010 è riuscito nell’impresa.Troppo comodo scaricare ogni volta le colpe sull’arbitro. Dopo che Fernando Teixeira ha “graziato” Diarra (andava cacciato nel finale del primo tempo) ed espulso Sergio Ramos (doveva essere sbattuto fuori molto prima) solo a due minuti dalla fine. Dopo che Fernando Teixeira ha tollerato per tutta la gara il gioco intimidatorio dei vari Pepe e Fabio Coentrao. Niente da fare: il declino etico di Mourinho è oramai ai minimi storici. Così come la memoria del portoghese: due Champions League vinte grazie agli errori arbitrali. Roba da stendere ogni volta il tappeto rosso al passaggio dei referee. E allora la domanda, caro Mourinho, te la facciamo noi: Josè, por què?