Togliere l’audio o mettersi i tappi nelle orecchie. Sono gli unici antidoti per difendersi dall’invadenza dei telecronisti. Sempre più enfatici, ansiogeni e faziosi. Non sopporto più il loro entusiasmo da oratorio. Non sopporto più le loro grida sconsiderate in occasione di un goal. Anche quando stanno commentando Chievo-Cesena o Albinoleffe-Frosinone. Non sopporto più la loro partigianeria quando raccontano le partite delle squadre italiane in Champions League. Se l’arbitro non concede un rigore grande come una bifamiliare al Bayern, neanche una piega. Se il direttore di gara si permette di non fischiare un penalty (magari solo presunto) al Napoli, apriti cielo. Emblematico al riguardo quanto accadde nella Champions League di due anni fa, con l’Inter di Mourinho portata in finale di peso da Mejuto Gonzales e Benquerenca, nell’ipocrita indifferenza dei commentatori. Squallore puro. Una volta, il telecronista, vecchio gentleman del microfono, ti “guidava” dolcemente dal calcio d’inizio al triplice fischio di chiusura. Con un approccio soft che, qualche volta, sfociava nella ninna nanna. Del resto, non sempre si ha la fortuna di commentare Italia-Germania 4-3. Oggi il telecronista pretende d’imporre il suo punto di vista a chi guarda, aiutato da una seconda voce quasi sempre banale e conformista. La parola d’ordine è “caricare” l’evento. Colorarlo e insaporirlo per strapparlo alle fauci della mediocrità. Una sola cosa, a pensarci bene, accomuna i telecronisti di ieri a quelli di oggi: l’incapacità di riconoscere i calciatori in possesso di palla. Perchè l’incompetenza, tipico vizio italico, aiuta a fare carriera.
Quella Caressa della sera….
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